Raviplast: Rinascere imprenditori

di Chiara Bissi, foto Massimo Fiorentini
La cooperativa Raviplast rifiorisce dalle ceneri della Nuova Pansac
La storia di Raviplast è di quelle belle, che vale sempre la pena di raccontare, perché mai come in questo caso l’intuizione e la perseveranza di pochi hanno dato i frutti sperati, diventando l’orgoglio di molti. La società, nata nel 2013, risorge dalle ceneri della Nuova Pansac, perlomeno dal ramo produttivo di imballaggi industriali presente a Ravenna, in Darsena, sul canale. Ma per rinascere ha bisogno di una trasformazione e così prende la forma di una cooperativa, grazie a uno dei primi e più fortunati esempi in Italia di workers buyout, cioè l’operazione di acquisto fatta dai lavoratori che da dipendenti si trasformano in proprietari e in soci cooperatori. Dietro al coraggio di 25 persone, private del loro lavoro, pronte a mettersi in gioco, c’è una città che non si gira dall’altra parte e un mondo economico che risponde alla richiesta di aiuto. La legge Marcora è lo strumento usato, ma è la determinazione dei lavoratori che permette di impiegare gli ammortizzatori a cui hanno diritto per creare il capitale necessario e che convince alcuni fondi cooperativi a raddoppiarlo.

“Raviplast,” racconta il presidente Alessandro Micelli, “nasce dal fallimento della Nuova Pansac, gruppo con 5 stabilimenti e due sedi di imballaggio in Italia, mille persone impiegate, 300 milioni di fatturato.

Dopo un paio d’anni di crisi è subentrato il fallimento con la gestione straordinaria. Il commissario tentò di vendere i siti produttivi, tutti aperti. Il proprietario aveva anche provato a vendere il terreno per fare un’operazione immobiliare. Devo ringraziare il Comune e l’allora sindaco Matteucci per aver mantenuto la destinazione d’uso dell’area ad attività produttiva e aver frenato spinte speculative.

Decidemmo quindi di procedere con uno studio di fattibilità per capire se c’era margini per tentare. Nessuno di noi veniva dalla cooperazione, era un mondo sconosciuto. Nell’agosto del 2013, grazie al sostegno delle tre centrali cooperative, Legacoop, Agci e Confcooperative, facemmo un’offerta per il ramo d’azienda.” Nella Nuova Pansac in via D’Alaggio lavoravano 90-100 persone, e in quel frangente molti trovarono altre occupazioni.

Ripartita con 25 soci lavoratori, Raviplast nel 2014 contava 5 milioni di euro di fatturato. Con 29-30 persone il 2021 si è chiuso con un fatturato di circa 7 milioni di euro. Anni, questi, di bilanci positivi, ricorda Micelli: “Le banche ci hanno sempre dato fiducia, abbiamo un ottimo rating e non abbiamo trovato difficoltà negli investimenti.

Nel 2013 rilevammo solo l’attività produttiva, macchinari e l’attività commerciale. Nel 2020 siamo riusciti ad acquisire il sito produttivo. Un passaggio davvero importante per la cooperativa. Avere la proprietà dello stabilimento dona tranquillità per il futuro.”

Da quasi un secolo esiste in Darsena la produzione di imballaggi industriali: allora le attività portuali si svolgevano anche in città, a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Dalla carta alla juta, alla plastica, per arrivare alle bioplastiche e alle plastiche rigenerate.

“Siamo bene integrati nel tessuto cittadino, tanto che da quando la Darsena di città è diventata un’area di passeggio capita che turisti o ravennati entrino nel nostro piazzale, senza accorgersi che qui esiste una fabbrica. Abbiamo cercato sempre di essere poco invasivi.

Per noi il passaggio da dipendenti a soci non è stato facile; una figura esterna come l’attuale amministratore delegato, Carlo Occhiali ci ha aiutato nel nuovo corso. A livello tecnico eravamo indipendenti, ma abbiamo dovuto imparare cos’è un consiglio di amministrazione, a decidere gli investimenti e a votare in assemblea.”

Un percorso faticoso, partito con un portafoglio clienti assottigliato e la fiducia dei fornitori da riconquistare. Oggi Raviplast è un’azienda in salute, che compete sul mercato, nonostante gli aumenti spropositati delle materie prime e del costo dell’energia elettrica.

“La nostra materia prima nell’agosto del 2020 era sotto l’euro al chilo, oggi è a due euro al chilo. Produciamo imballaggi plastici industriali: grandi sacchi per il contenimento utilizzati nella mangimistica, per i concimi, l’agricoltura, l’edilizia e nella florovivaistica. Dalla nascita siamo inoltre attenti alla sostenibilità, ampliando la nostra visione verso la plastica rigenerata e il recupero del materiale. Siamo a rifiuto plastico zero, non mandiamo nulla in discarica perché lo scarto viene riutilizzato nelle produzioni o venduto.

Nel 2020 abbiamo ottenuto la certificazione Plastica Seconda Vita, il primo marchio europeo dedicato ai materiali e manufatti nella cui produzione è utilizzata plastica da riciclo, con la garanzia di un contenuto minimo del 30% di rigenerato e tracciabilità del rifiuto plastico.”

Presente sul mercato italiano, Raviplast è riuscita a imporsi con prodotti particolari anche all’estero. Intanto cresce lo sviluppo di prodotti come la bioplastica, utilizzati nel settore agricolo, grazie alla collaborazione con alcune realtà cooperative e con Novamont. Un progetto in corso, ad esempio, prevede la produzione di teli biodegradabili da applicare nei campi per la pacciamatura delle piantine.

La produzione del materiale in agricoltura sarà un investimento per il futuro. “Con la pandemia non ci siamo mai fermati, abbiamo solo rallentato. Nei momenti di difficoltà c’è stata grandissima disponibilità a coprire i reparti, anche nei turni di notte. Noi viviamo in simbiosi e condividiamo le responsabilità.”

La storia di Raviplast raccontata dal presidente Alessandro Micelli – Ravenna IN Magazine 01/22
Il presidente di Raviplast Alessandro Micelli. Segue uno scatto della sede dell’azienda nella Darsena ravennate.
La storia di Raviplast raccontata dal presidente Alessandro Micelli – Ravenna IN Magazine 01/22

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