Un luogo che da via Antica Zecca 31, dove si trova l’entrata principale, si inoltra nella galleria adiacente, rivitalizzandola. Svelandola alla città anche grazie a una ‘quinta’ scenografica dipinta a mano da Marco Montalti.
L’oro degli antichi paraventi giapponesi, i ‘byobu’, fa da sfondo alla riproduzione della famosa opera di Hokusai Peonies and Butterfly. Questa storia inizia casualmente qualche anno fa, nell’estate del 2015, ma ha origini molto antiche, come racconta Marco Montalti.
“Ho deciso di partire per il Giappone e ho cercato su internet una soluzione che mi permettesse di essere ospitato da una famiglia locale, in cambio di qualche ora di lavoro.” La famiglia che accoglie Marco Montalti in un luogo sperduto vicino a Osaka è però una famiglia speciale. Carol e Mark, due antiquari.
Entrambi americani, hanno deciso di ritornare nel paese di origine di Carol, discendente da un nobile casato giapponese, un tempo esiliato a Miyajima dopo aver perso una battaglia cruciale. In quella minuscola isola sacra al largo di Hiroshima, famosa per il suo tempio e per il Tori rosso che svetta in mezzo al mare la leggenda vuole che non si possa né nascere né morire. Anche perché non esistono né ospedali, né cimiteri.
Ma è proprio qui che negli anni Trenta nasce Ayako. Cresce tra i kimono dell’emporio di sua madre e poi si innamora di un militare americano, trasferendosi con lui a Seattle, in America. Dove avrà tre figlie, tra cui Carol. “Il nome del negozio vuole quindi riprendere l’origine di questa famiglia, riallacciando antichi legami per chiudere il cerchio,” spiega Marco Montalti. Che da quell’incontro casuale, da quell’intreccio di destini e guardando il Giappone attraverso gli occhi dei due antiquari, ha iniziato ad appassionarsi al kintsugi, l’antica tecnica giapponese per riparare la ceramica con l’oro (da ‘kin’ oro e ‘tsugi’ riparare).
E il suo primissimo pezzo sono stati proprio loro, Carol e Mark, a regalarglielo, durante quel soggiorno in Giappone, acquistandolo a un mercatino. Poi Marco Montalti, che è nato a Cervia, ritorna in Italia. Si laurea in architettura a Cesena, ma d’estate va sempre a trovare la ‘sua’ nuova famiglia. Per un anno lavora anche come architetto alle Hawaii, dove vive Karen, sorella di Carol. Ritorna.
Nel frattempo, da autodidatta, approfondisce la conoscenza del kintsugi, elaborando una sua tecnica personale utilizzando le lacche urushi originali acquistate in Giappone. L’epilogo di questa storia è anche l’inizio di un nuovo viaggio. L’apertura a Ravenna di Miyajima. Qui Marco organizza corsi di kintsugi di cui ci riassume le principali fasi di realizzazione: incollaggio, stuccatura, applicazione della lacca rossa e finitura con la foglia d’oro a 22 carati attraverso la tecnica della missione.
Rosso e oro sovrapposti, proprio come certi mosaici bizantini: pura coincidenza? Tra una fase e l’altra intercorrono dei periodi di asciugatura, perché anche il tempo dell’attesa ha una sua importanza. “È un ingrediente fondamentale che permette di comprendere appieno il significato del kintsugi. La sua filosofia non sta solo nelle ‘cicatrici’ in oro ma anche nel processo che porta al risultato finale,” precisa.
Perché dietro al kintsugi esiste una simbologia complessa che si confronta spesso con dinamiche psicologiche, con concetti come guarigione e resilienza, o anche accettazione di se stessi nonostante imperfezioni e danni inflitti dalla vita. La difficoltà che diventa opportunità, trasformando la ceramica che si sta riparando in oggetto transizionale. Il gesto in atto catartico.
“Mi piace pensare che il kintsugi sia una sorta di reminder, un modo per ricordarci che tutto si può aggiustare, anche quello che pensavamo dovesse essere buttato via. E magari ciò che è stato aggiustato è più bello dell’originale,” spiega Marco Montalti.
Oltre ai corsi, in questo spazio viene esposta e venduta una selezione di pezzi che ogni mese Carol e Mark mandano dal Giappone, tra cui rare ceramiche di Bizen. Ma anche gli eterei kimono vintage appesi al soffitto, galleggianti nell’aria. L’allestimento di Miyajima cambia continuamente, in linea con il concetto giapponese di accettazione dell’effimero e del temporaneo, che si collega all’idea di leggerezza e fluidità da cui è nato il progetto.
“Lo definirei,” ci dice Marco Montalti, “un negozio di terza generazione, uno spazio che diventa luogo della città e galleria d’arte, dove si scambiano storie ed esperienze, dove si compra oppure si entra solo per ammirare una bottiglia di Tamba o bere un tè. Un luogo ispirazionale in cui coesistono molteplici realtà.”