Ma quale fu il motivo che indusse il sovrano del Sacro Romano Impero a portare la sua corte dalla Ravenna imperiale in quella che era allora una modesta città di provincia della Repubblica di Venezia? La risposta è difficilmente comprensibile per la nostra mentalità moderna. Ma perfettamente naturale per quella di un mondo in cui la potenza dei simboli e i tempi lunghi della tradizione erano almeno altrettanto importanti della realtà materiale del momento.
La visita di Federico in quel 1469 era infatti l’ultima tappa di un percorso iniziato mille anni prima. E cioè il giorno in cui Onorio, nel 402 d.C., aveva preso la decisione di fare di Ravenna la capitale dell’impero romano d’Occidente. Un impero in decadenza, certo, e che proprio qui trovò la sua fine settantaquattro anni dopo.
Tuttavia, da quei decenni la non ancora ufficiale Ravenna imperiale ereditò un rango che non l’abbandonò per molti secoli. E che anzi riemerse ogni volta che l’istituzione imperiale tornò a comparire nel proscenio della storia europea. Non a caso Carlo Magno, che di quell’istituzione fu il rifondatore in veste cristiana, passò di qui per tre volte. Anche se con esiti infausti per il patrimonio monumentale della città, depredato di marmi e opere d’arte.
Nei decenni successivi Ravenna fu teatro di eventi la cui memoria è oggi confinata allo studio degli storici, ma che pure dicono molto del suo prestigio nell’Europa dell’epoca. Concili che videro la presenza simultanea di pontefici e sovrani carolingi. E perfino l’incoronazione di un imperatore, Lamberto di Spoleto, da parte di papa Formoso nell’892.
La grande consacrazione della Ravenna imperiale avvenne però nel secolo seguente, quello del Sacro Romano Impero ‘germanico’ ricostituito nel 962 sotto la dinastia tedesca degli Ottoni. I tre sovrani che portarono questo nome fecero della città la loro base privilegiata in Italia. Risiedendovi più volte, organizzandovi concili, costruendovi anche un nuovo palazzo, oggi purtroppo completamente scomparso, nella zona dell’attuale via dei Poggi.
Ottone III, l’ultimo del casato, nominò il proprio precettore Gerberto d’Aurillac arcivescovo (e poi Papa col nome di Silvestro II). E collaborò con il ravennate San Romualdo nel suo ambizioso progetto di radicale rinnovamento politico e religioso dell’Europa.
Anche se destinata a finire presto, con la morte di Ottone appena ventiduenne nel 1002, quella stagione lasciò a Ravenna un’eredità duratura. Per tutto il secolo seguente, infatti, la città restò una delle basi principali del potere degli imperatori germanici in Italia. Condizione che si manifestò principalmente in due modi. Da una parte, il periodico passaggio della corte nel palazzo ravennate; dall’altra, la nomina di arcivescovi fedeli al sovrano, spesso tedeschi, sulla cattedra di Sant’Apollinare.
Fra di loro, il più importante fu quel Guiberto da Parma che nel 1081 fu nominato ‘antipapa’ da Enrico IV con il nome di Clemente III, nel contesto della ‘lotta per le investiture’ che in quei decenni contrapponeva l’impero e il papato di Roma. Anche quando, nel secolo seguente, la dinastia degli Svevi si trovò ad affrontare la nuova sfida dei comuni dell’Italia settentrionale, alleati del Papa nello schieramento guelfo, Ravenna mantenne a lungo la sua tradizionale fedeltà.
Nel 1158 un contingente di cavalieri ravennati partecipò all’assedio di Milano al fianco di Federico Barbarossa. Che a sua volta nel 1177 passò in città ospitato dalla famiglia Traversari. Il nipote Federico II, il grande sovrano che riprese il progetto dell’unione fra Italia e Germania, fu a Ravenna una prima volta nel 1226. E poi per diversi mesi nel 1231-32, quando vi convocò un’assemblea dei principi e delle città dell’impero (peraltro destinata al fallimento) con il fine di riaffermare la propria autorità. Per questi motivi fu davvero clamoroso, e interpretato dal sovrano come un tradimento imperdonabile, il voltafaccia con cui nel 1239 i Traversari portarono Ravenna nello schieramento nemico.
La risposta fu implacabile: risalito dalla Puglia alla testa del suo esercito, Federico riconquistò la città dopo pochi giorni d’assedio, condannando i colpevoli all’esilio. Fu però una riscossa effimera, perché dopo la sua morte, nel 1250, i guelfi ripresero il sopravvento per non lasciarlo più.
D’altra parte, a quel punto Ravenna, in procinto di cadere sotto la signoria dei Polentani, era ormai una normale città dell’Italia comunale. E anzi in progressiva decadenza. Eppure l’eco del passato continuava a riverberarsi nella memoria di un mondo che, come abbiamo detto, al carisma conferito dalla storia attribuiva grande significato. Solo in questo modo sembra spiegarsi, dopo una lunga pausa, il nuovo passaggio di un imperatore, quello di Sigismondo di Lussemburgo nel 1431.
A due secoli esatti dall’ultima presenza ‘pacifica’ di Federico II, il titolare del trono più alto riprendeva un filo che evidentemente non si era interrotto nelle menti di quegli uomini dell’autunno del Medioevo’. E così torniamo al punto da cui siamo partiti. Qualche decennio dopo, Federico III passò ‘con gran pompa’ da Ravenna nel 1468 e nel 1469, rispettivamente all’andata e al ritorno da Roma.