Arturo Santini e i custodi della terra

di Paola Francia
Fin dal 1978, pionieri del biologico.
Con una lunga tradizione di famiglia di proprietari terrieri alle spalle, cesenate di origine, agricoltore prima e imprenditore poi, dal 2018 è alla guida di Alce Nero, marchio precursore e oggi leader del mercato del biologico. Agricoltore prima e imprenditore poi, una lunga tradizione di famiglia di proprietari terrieri con duecento anni di storia alle spalle e un’infanzia trascorsa nelle campagne.

Dal 2018 Arturo Santini, Presidente de La Cesenate, azienda che produce conserve alimentari, è alla guida di Alce Nero. Marchio precursore e oggi leader del mercato del biologico che affonda le sue radici negli anni Settanta. Una realtà che riunisce più di mille agricoltori in Italia e oltre 10.000 piccole imprese agricole familiari del Centro e Sud America, grazie a una visione che ha anticipato tempi e scenari di mercato. E che ha fatto della salvaguardia della terra e del pianeta i suoi principi guida.

Originario di Cesena, laureato in Scienze agrarie con una tesi sull’integrazione verticale, nel tempo libero Arturo Santini ama fare lunghe passeggiate nei boschi. 

D. Una storia o, per meglio dire, un dna che si è evoluto restando fedele a se stesso. Quali sono le sfide dell’agricoltura biologica oggi?

R. “Senza dubbio la sua diffusione e la sua centralità. Negli ultimi vent’anni c’è stato un aumento delle superfici coltivate. Ma oggi la tendenza è in rallentamento. Ecco perché le politiche comunitarie dovrebbero riportare il focus su un modello ecocompatibile orientato al futuro.

La globalizzazione dei mercati sta assottigliando la differenza di prezzo fra convenzionale e biologico con un problema di remunerazione per l’intera filiera. Tutti aspetti legati al tema dell’educazione del consumatore che è un validatore dell’impegno dell’agricoltore nel riconoscere il biologico come garante della salvaguardia ambientale. Si profilano sfide importanti per chi ha una visione orientata a un futuro sostenibile per le persone e per il pianeta.”

D. Siete stati pionieri in questo campo, com’è cambiato secondo Arturo Santini il mercato negli anni? 

R. “Agli inizi del secolo il mercato era marginale e le vendite riguardavano i negozi specializzati e un numero ristretto di consumatori. Per i pochi, ma convinti, di allora, il biologico inglobava valori contrapposti alla produzione industriale, ovvero salubrità, rispetto dell’ambiente e delle persone.

Dal 2000 la distribuzione moderna ha iniziato a proporre cibo biologico e la crescita è proseguita per quasi 20 anni ma oggi dobbiamo ripartire dai suoi valori originari per riaffermarne il ruolo da protagonista.”

D. Alce Nero, capo spirituale della tribù Sioux Oglala, cavalcava ‘controcorrente’. Siete ancora ‘controcorrente’?

R. “Siamo stati, fin dalla nostra origine nel 1978, pionieri del biologico, in una posizione altra rispetto all’agricoltura della ‘Rivoluzione Verde’ che si avvaleva della chimica per una produzione intensiva. Insomma, eravamo ‘controcorrente’ già 45 anni fa.

Nel tempo abbiamo maturato la capacità di essere filiera secondo un modello di business che vede oggi 10 grandi soci agroindustriali insieme per realizzare prodotti biologici, dal campo alla trasformazione. Un esempio? Abbiamo prima di tutti tolto l’olio di palma mentre il mercato andava in un’altra direzione.

Ora che il contesto è più competitivo cerchiamo di costruire un modello che tenga salde le tre istanze della sostenibilità: economica, sociale e ambientale.”

D. Arturo Santini, quali sono le colture più vocate del nostro territorio e i prodotti più amati dal consumatore?

R. “Non potendo utilizzare input chimici, le produzioni biologiche creano forti legami con gli areali: la qualità delle produzioni nasce dal connubio fra scelta varietale, tecniche colturali e ambiente di crescita. Ogni territorio esprime eccellenze legate alla storicità delle coltivazioni, con produzioni di pomodoro nella Provincia di Ravenna e Ferrara e, scendendo lungo la Romagna, con la frutticoltura.

Fra i prodotti ‘principe’ c’è la passata di pomodoro, che ha origine nelle nostre terre, ma anche i legumi e gli omogeneizzati della linea baby food.”

D. Dare volto e valore al territorio è un impegno costante, unito a una forte responsabilità per la terra, soprattutto alla luce dei mutamenti climatici in atto.

R. “Il principale driver è la conoscenza. Lo sviluppo di modelli rispettosi è una condizione imprescindibile per la corretta gestione della filiera agricola e l’adozione di una strategia per l’adattamento e la mitigazione nei confronti dei cambiamenti climatici dagli effetti sempre più evidenti, imprevedibili e devastanti, rappresenta il punto fondamentale per la tutela del territorio. Per questo abbiamo contribuito a creare i Bio Distretti, presidi locali del sistema agricolo, economico e sociale.”

D. ‘Se dici Bio’ è il nuovo progetto di comunicazione: 16 parole che definiscono il vostro modo di fare agricoltura. Quanto il linguaggio influisce sul benessere a tavola?

R. “Spesso diciamo ‘Alce Nero vuole convertire terre e culture’. Intendiamo dire che il processo di conversione dei terreni al biologico deve andare di pari passo con la cultura della sostenibilità e con una sempre maggiore consapevolezza dei consumatori.

Per questo portiamo i nostri temi all’interno del Festival Internazionale a Ferrara, dialoghiamo con le Fondazioni che fanno della salute e della prevenzione una missione, come la Fondazione Policlinico Sant’Orsola, lo IOR, la Fondazione Veronesi. ‘Se dici Bio’ è la campagna che guarda al biologico scardinandone gli stereotipi.

Non da ultimo, con La Cesenate, abbiamo dato vita al progetto editoriale online Terranea per costruire un panorama articolato rispetto al nostro lavoro. Il linguaggio è il mezzo principale per influire sulla qualità della vita a tavola: attraverso il linguaggio possiamo fare cultura, promuovere conoscenza e informazione.”

D. Lei afferma: “La terra l’abbiamo ricevuta come eredità e quindi la dobbiamo dare ai nostri figli.” Come immagina questa eredità?

R. “È importante pensarci come custodi, in termini di difesa, conservazione e cura della terra. Dobbiamo difendere un patrimonio di conoscenze, territori e tradizioni enogastronomiche, dando valore alla nostra cultura perché solo attraverso di essa possiamo guardare al futuro, rispettando il passato.

Questo è il bagaglio che dobbiamo portare con noi, costruendo e ricostruendo ogni giorno la relazione tra chi produce cibo e chi di questo cibo si alimenta, dando alla filiera luoghi e volti riconoscibili.”

Arturo Santini e i custodi della terra
In apertura, Arturo Santini, Presidente di Alce Nero. In questi scatti, alcuni campi in cui le produzioni nascono dal connubio fra scelta varietale, tecniche colturali e ambiente di crescita.
Arturo Santini e i custodi della terra
Pubblicato su XX IN Magazine XX/XX, chiuso per la stampa il XX/XX/XX

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