Gianni Parmiani e il dialetto romagnolo

di Roberta Bezzi, foto Franco Ferretti
Il successo dei doppiaggi in romagnolo dell’attore Gianni Parmigiani
Se il dialetto romagnolo ancora resiste, malgrado tutto, lo si deve a persone come Gianni Parmiani. Attore, regista e autore nato a Lugo ma residente da tempo a Bagnacavallo, figlio d’arte, nei mesi scorsi si è trovato a doppiare in romagnolo e per gioco brevi filmati di re Carlo III, personaggio che per le sue caratteristiche fisiche e comportamentali è già simpatico di suo. Il risultato è stato travolgente, se si considera che il video ha avuto una inaspettata valanga di visualizzazioni. Così Parmiani ne ha prodotti altri, pubblicandoli poi sulla sia pagina Facebook, riuscendo nell’ardua impresa di incuriosire anche i giovani.

“Tutto è nato come un divertissement,” racconta Gianni Parmiani. “A ispirarmi è stata una scena che un po’ come tutti ho visto in tv, successiva alla morte della regina Elisabetta. Carlo si è trovato a firmare in una grande sala. E sopra a un tavolino così piccolo che a stento conteneva i fogli e alcuni oggetti.

Tale era la scomodità che, a un certo punto, gli è scattato un moto di stizza verso il valletto al quale ha chiesto di sportargli le cose. Quell’atteggiamento non proprio da re, mi ha fatto ricordare mio nonno quando a fine pranzo o cena, voleva un po’ di spazio sul tavolo per fare i conti o alcuni suoi lavoretti. In dialetto, chiedeva a mia madre di cavargli le cose inutili di torno.” Tutto nasce quindi da questa somiglianza.

Gianni Parmiani ha poi ripreso col cellulare il video, ha eseguito un montaggio casereccio con l’aiuto di una App e poi lo ha doppiato. Il passo successivo è stato quello di postarlo su Facebook dove non si aspettava di avere in men che non si dica oltre 100.000 visualizzazioni e numerose condivisioni.

“In tanti mi hanno scritto entusiasti,” ricorda l’attore Gianni Parmiani, “chiedendomi se lo facevo di lavoro. Come l’avevo realizzato e il significato di alcuni termini utilizzati. La vera sorpresa poi è stato scoprire che tanti ragazzi, colpiti dal filmato, ne avevano suggerito la visione a genitori e nonni.

Visto che già mi divertivo, questo mi ha stimolato a crearne altri sempre sul filo di un’ironia mai volgare. L’uso del dialetto è comunque rispettoso, aiuta a creare caricature ma senza troppe forzature. Solo di recente, dopo aver saputo della malattia del re Carlo, ho deciso di sospendere l’attività.” 

A livello divulgativo per l’attore è stato un esperimento curioso. Non è completamente da escludersi, guardando al prossimo futuro, che si possa replicare con altri personaggi. Gianni Parmiani si lascia scappare infatti di aver già provato a fare il doppiaggio della scena cult de Il gladiatore che ha già girato a qualche amico.

“Per me è un gioco,” ci tiene a sottolineare. “Sono stato contattato da alcune agenzie interessate a sviluppare un progetto al riguardo ma poi diventerebbe un’altra cosa e al momento non me la sento.” Gianni Parmiani nasce in una famiglia di artisti. Il capostipite è il nonno Mario, a cui si deve fra l’altro anche il trasferimento da Como a Bagnacavallo.

“Essere un romagnolo doc… è relativo,” dice Gianni Parmiani. Nel 1946 Mario aveva già fatto un po’ di filodrammatica. Ma non in dialetto visto che era stato bandito dal regime fascista per andare verso il nazionalismo. Alla fine della guerra è tra i fondatori della compagnia dilettantistica La Rumagnola di Bagnacavallo dove sono cresciuti i figli Giuseppe e Arturo. Per Gianni e Paolo Parmiani, figli di Giuseppe, è stato dunque inevitabile diventare teatranti. Sono stati subito ‘arruolati’ per portare in giro le commedie.

“Col teatro sono partito a 8 anni,” ricorda Gianni Parmiani. “Nel 1968, nello spettacolo Cla bela famiulena, eravamo tutti in scena: mio nonno Mario, il capo della compagnia, con mio padre, mio zio, mio fratello Paolo e io. Per quanto mi riguarda, avevo una sola scena alla fine del secondo atto. Poi nel 1973, a San Lorenzo di Lugo, mio padre fonda La Compagine, compagnia di ricerca nel campo del teatro in dialetto romagnolo che ha ormai più di 50 anni.” 

Il sodalizio con il fratello Paolo è longevo e proficuo, grazie a testi innovativi in cui si fondono la tradizione, la cultura popolare e il cabaret. “Noi ce la mettiamo tutta,” rivela Gianni Parmiani. “Ma il dialetto è destinato a morire se non ci sarà più nessuno che lo parla. Io sono nato parlando il dialetto e ancora mi emoziono a sentire certe cose.

Dagli anni Settanta in poi è prevalsa una certa vergogna nel parlarlo. E non è bastato lo sforzo di Raffaello Baldini, di Ivano Marescotti. E del compianto Giovanni Nadiani per evitarne la disfatta. Se è finita la lingua latina dell’impero romano, figurarsi se non può finire il dialetto romagnolo. Però c’è una tendenza a utilizzarlo come lingua teatrale, mescolandolo con parti in italiano.” Nel corso degli anni Gianni Parmiani ha collaborato, fra gli altri, con l’Orchestra Corelli, con Eugenio Sideri e con il Teatro delle Albe.

Nel 2017 Marco Martinelli lo ha chiamato per interpretare la pièce Saluti da Brescello, scelto per rappresentare l’Emilia-Romagna nell’ambito del colossale progetto Ritratto di una nazione. Più volte è andato in scena, nei panni di don Camillo, prima in coppia con Gigi Dall’Aglio e poi con Luigi Dadina.
Pubblicato su XX IN Magazine XX/XX, chiuso per la stampa il XX/XX/XX

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