Accanto ai campi coltivati poi, a poca distanza dal corso del fiume Uso, ecco emergere alcune delle testimonianze che rimandano a storie lontane. Il castello Benelli, ad esempio, a poca distanza dalla sponda destra. Ma soprattutto, a solo un chilometro abbondante dal fiume, l’imponenza di Villa Torlonia, dal nome della ricchissima famiglia di mercanti di tessuti e sarti provenienti da Roma.
Era la medioevale Torre di Giovedìa. O, più semplicemente per gli abitanti del luogo, la Torre, che lega questi luoghi alla poetica di Giovanni Pascoli, il cui padre, Ruggero, fu amministratore della tenuta sino alla tragica morte ricordata dal poeta con La cavallina storna.
Ma l’incontro con la storia, quello con la ‘S’ maiuscola, deve aspettare qualche chilometro ancora. Almeno fino a che il sentiero che segue l’argine destro del fiume, superando la strada, ci proietta davanti a ‘E Puntaz’. È l’arco superstite di quel ponte che, scavalcando un tempo le acque dell’Uso, ha fatto esclamare a più di uno storico: “ecco il vero Rubicone!”
Una supposizione che affonda le proprie radici da lontano. “Se non sapessi essere controversia non ancora decisa intorno al determinare quale fosse l’antico Rubicone tanto famoso, ardirei quasi a dir essere questo”. Era il 1680 quando Agostino Martinelli ricostruì l’ultima arcata del Ponte di Augusto e Tiberio a Rimini. Proprio utilizzando, così come nel passato era inveterata abitudine fare, parti del ponte romano esistente.
Del resto cosa ci fa perso nella campagna un ponte dai resti così ampi e possenti? Come noto, la disputa storica su quale fosse il ‘vero’ Rubicone tra i tre pretendenti (assieme all’Uso, il Pisciatello e il Fiumicino) fu risolta nel 1933 da un atto impositivo di Benito Mussolini. Quando – Alea iacta est! – Savignano di Romagna prese il nome di Savignano sul Rubicone.
Come noi dalla verità, anche il percorso che fin qui ha seguito sulla sponda il corso del fiume Uso ora si allontana. Almeno per un po’, fino a riprendere, in vista di Santarcangelo, il piacere della vicinanza. E con esso quello dello sguardo sulle acque ora placide del fiume. Col colle Giove ecco i primi profili della collina che iniziano a seguire il corso del fiume.
In breve, lungo la risalita si arriva all’imponente Palazzo Marcosanti. Uno dei complessi fortilizi meglio conservati sul crinale che separa la valle dell’Uso da quella del Marecchia. Ma ecco che, in lontananza, emerge il profilo di Torriana e di ciò che rimane del suo antico castello. Sulla sponda sinistra, proprio sopra Masrola, San Giovanni in Galilea dall’alto domina la valle che, man mano che ci si inoltra, si fa sempre più verde e selvaggia.
Da Ponte Uso a Pietra dell’Uso dove il fiume si fa largo prepotentemente tra la roccia. Inizia ora la risalita verso Montetiffi, annunciata dal profilo della millenaria Abbazia di San Leonardo. E bisogna ora lasciare il corso del fiume, ma solo per poco. Perché è proprio dal centro del paese che una discesa impegnativa porta in un luogo di grande fascino e bellezza.
Sono le marmitte dei giganti, le grandi incise nella roccia dalla forza del fiume dove le donne un tempo venivano a lavare a cui si associa la romantica presenza di ciò che resta dell’antico Mulino Tornani e dell’antico ponte romanico. Che, costruito con arco a tutto sesto attorno all’anno Mille, collegava armenti e commerci tra Romagna e Montefeltro.
Ma ecco in lontananza, risalendo solo di un poco il corso di quello che ora si è trasformato in ruscello, il magnifico profilo della dorsale del monte Aquilone. È lungo queste pareti striate che l’acqua si raccoglie dando vita al fiume. Ma segnando al contempo, con la meraviglia, la fine del nostro viaggio a ritroso nella bellezza.