Politica e parolacce vanno a braccetto. Perché? Se lo è iniziato a chiedere a soli 10 anni la riminese Benedetta Cicognani, quando davanti alla tv sentiva gente urlare e mandare tutti a quel paese.
L’addetta alla comunicazione digitale del Comune di Rimini ci ha fatto una tesi di laurea che poi si è trasformata in un libro: Onorevole parolaccia. Perché il turpiloquio ha conquistato il linguaggio politico (FrancoAngeli Editore). E sta facendo il giro d’Italia.
D. Benedetta Cicognani, da dove nasce l’idea di questo libro?
R. “Mi sono sempre chiesta come un uomo, partito da un ‘vaffa’, sia riuscito a dare vita a un movimento politico che ha raggiunto anche il 30% del consenso. Promettendo in modo triviale di voler aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Avevo solo 10 anni.
Mi è rimasto impresso: ne è diventata una tesi di laurea e, in fase di discussione davanti alla commissione, mi sono resa conto che ‘m**da’, ‘c**o, ‘ca**o’ avevano ancora un potere immaginifico-provocatorio. Da lì ne è nato un libro, in cui attraverso aneddoti e fatti di cronaca, provo a raccontare l’involuzione del linguaggio della politica e la mancanza di rispetto verso le istituzioni da parte di chi le rappresenta.”
D. Quanto serve un linguaggio forte in politica? E quello volgare e pieno di insulti?
R. “Un linguaggio carico di volgarità è di per sé forte in termini di impatto. La parolaccia va a toccare tasti primitivi, preferisce il pathos al logos. È chiara, immediata, ‘drizza le antenne’ degli astanti e viene percepita come genuina, a differenza di un discorrere iper-istituzionalizzato.”
D. Chi usa più parolacce in politica (sinistra, destra, centro, radicali, M5S)?
R. “Direi che la parolaccia va a braccetto con i leader che attingono a un linguaggio pregno di emotività, in grado di solleticare gli istinti di chi ascolta. Penso alla Lega, al Movimento 5 Stelle, che ha fatto scuola con Grillo che ha elevato la parolaccia a ‘madre’ del M5S, nato da un ‘vaffa’. Con un discreto successo si è fatta largo anche la nostra premier, con il famoso ‘sono quella st***za della Meloni’.”
D. Secondo lei, Benedetta Cicognani, qual è la vittima più presa di mira?
R. “Nell’alveo politico, la segretaria del Pd è stata investita da parecchi insulti sul versante fisico. Per quanto riguarda invece l’odio web e nelle piazze, si è passati da Laura Boldrini alla senatrice a vita Liliana Segre, molto esposta alla critica a causa del conflitto Israele-Palestina. Anche la Meloni a testa in giù, di mussoliniana memoria, in alcuni cortei.”
D. Chi usa più parolacce tra gli attuali governatori?
R. “Il sindaco di Terni, Bandecchi, ne sta facendo un elemento identitario, come quando ha detto in consiglio comunale che ‘un uomo normale guarda il bel c**o della donna e forse ci prova anche’. Al di là del contenuto, è evidente la volontà di ritagliarsi un palcoscenico mediatico.”
D. I social e il mondo moderno hanno fomentato il turpiloquio?
R. “I social fanno delle emozioni astiose il loro core business, con algoritmi che premiano con like e condivisioni i contenuti più focosi. Il web spesso è un megafono alla pancia infiammata e alcuni leader ci hanno soffiato alla grande sopra.”
D. Ma usando così tanto un linguaggio poco consono… non si rischia di non essere più presi sul serio?
R. “Il degrado della linguistica politica coincide con le monetine lanciate contro Craxi. Con il fatto che bastava un avviso di garanzia per essere colpevoli. Da lì la disaffezione alla politica, che si traduce nell’astensionismo.
Una politica che grida sempre più forte, denigra l’avversario, ma spesso non risolve problemi. C’è un mutamento nella rappresentazione: si è più showman che politici. La parolaccia, di per sé, ha un fascino unico: è forte e passionale, soprattutto quando serve a far sentire la propria voce, da basso. A Rimini abbiamo l’esempio di ‘Basta merda in mare’. Nome chiaro e azzeccatissimo.”