Il Bacio al Guidarello

di Andrea Casadio, foto Massimo Fiorentini
In memoria del cavaliere ucciso in una zuffa per una camicia

Ravenna, Guidarello Guidarelli / dorme supino con le man conserte / su la spada sua grande. Al volto inerte / ferro, morte, dolor furon suggelli.

Fra i tanti che, negli ultimi due secoli, sono rimasti affascinati dalla figura di Guidarello eternata dal monumento funebre, non poteva certo mancare Gabriele D’Annunzio, che nel 1903 omaggiò con questi versi la memoria del guerriero morente contribuendo a sua volta ad alimentarne il culto.

Del resto, gli ingredienti del mito romantico-decadente c’erano tutti: una fosca vicenda ambientata in un secolo di ferro, il sofferto patetismo del volto del cavaliere Guidarello Guidarelli, l’oscuro sodalizio di Amore e Morte emanante dal gelido calore del marmo sepolcrale.

Ingredienti che a loro volta rispecchiavano le tre componenti sul cui intreccio il mito si era forgiato: la concreta vicenda biografica del protagonista, il valore artistico della scultura, l’immaginario erotico che col tempo venne a coagularsi attorno a essa, decretandone il successo popolare in Italia e all’estero.

Cominciamo dal primo punto. Chi era Guidarello Guidarelli? Purtroppo, le frammentarie informazioni che abbiamo su di lui riescono a fornire una risposta solo parziale. Nato verso il 1450-60, non era senza dubbio uno sconosciuto nella Ravenna del suo tempo.

Figlio di un notaio, e consacrato cavaliere dall’imperatore Federico III durante il suo passaggio in città nel 1468, Guidarello Guidarelli aveva abbracciato la vita militare, come tanti altri rampolli dell’aristocrazia romagnola della sua epoca, offrendo il suo servizio ai diversi eserciti allora in competizione per la supremazia nell’Italia settentrionale. Si sa che nel 1498-99 combatté per Venezia, ma nel 1500 era al soldo di Cesare Borgia, il Valentino, allora in procinto di lanciarsi nella sua effimera conquista della Romagna. Fu durante la sosta nella campagna militare, mentre l’esercito era acquartierato a Imola durante il carnevale del 1501, che avvenne l’episodio destinato a portarlo alla morte. Non un fatto d’arme, ma un banale litigio con un altro soldato, tale Virgilio Romano, che si era rifiutato di restituirgli una camicia “a la spagnola belissima de lavori d’oro” che Guidarello gli aveva prestato “per farsi mascara”.

Il fatto che il duca punisse il colpevole con il taglio della testa fu per la vittima una ben magra consolazione. Gravemente ferito, Guidarello spirò infatti dopo pochi giorni d’agonia, non senza avere avuto il tempo di dettare al notaio Giovanni Cecchi, appositamente accorso da Ravenna, il proprio testamento, datato 6 marzo 1501 e tuttora conservato all’Archivio di Stato.

Fra le altre disposizioni, il cavaliere ordinava alla moglie Benedetta Del Sale di fargli realizzare da un artista veneziano o fiorentino un monumento funebre e di collocarlo nella cappella di famiglia nella chiesa di S. Francesco, dedicata a S. Liberio, destinando a tal fine la notevole somma di 600 ducati. Una richiesta cui gli eredi effettivamente adempirono, anche se non subito: risale infatti al 1525 una quietanza di pagamento a favore del noto scultore veneziano Tullio Lombardo per lavori di ampliamento della cappella, e che è comunemente considerata anche come la prova della contemporanea realizzazione del monumento funebre.

Da quel momento Guidarello dormì il suo sonno nella cappella, la prima a destra per chi entra nella chiesa, fino al 1650. In quel periodo la statua del “guerriero morto, disteso sul letto funebre, vestito di corazza” fu trasferita nel vicino oratorio di Braccioforte, a pochi passi dalla tomba di Dante. Qui rimase fino al 1827, quando i Rasponi Del Sale, ai quali era giunta nel frattempo in proprietà per via ereditaria, la collocarono nella sede della neoistituita Accademia di Belle Arti, nell’attuale via Baccarini.

Fu in quel frangente che cominciò la seconda vita di Guidarello. Uno dei primi a rimanere folgorato dalla scultura fu l’intellettuale fiorentino Gino Capponi, che nel 1837, dopo un viaggio a Ravenna, ne chiese all’Accademia una riproduzione in gesso. In effetti, in quel suo patetico ritrarre la vita della morte (così scriveva Capponi) essa si rivelava straordinariamente efficace nel toccare le corde più profonde della nuova sensibilità romantica dell’Ottocento. Nel corso del secolo la sua fama si propagò come una febbre, varcando anche i confini nazionali, tanto che copie del monumento furono acquisite da importanti musei in ogni parte del mondo.

I dirigenti dell’Accademia arrivarono perfino a introdurre un apposito modulo per le richieste di copie in gesso, con tanto di tariffa standard per gli acquirenti.

Ad accrescere il fascino della scultura era anche l’aura di mistero che nei secoli si era addensata attorno ad essa. Ignote le vicende biografiche del protagonista, ignoto anche l’autore, che a lungo venne riconosciuto in un nome altrimenti oscuro, tale Giacomello Baldini.

Fu Corrado Ricci, alla fine dell’Ottocento, ad attribuirne la paternità al ben più importante Tullio Lombardo, già sostenuta in passato da altri studiosi e da allora generalmente accettata (con l’eccezione che si vedrà in seguito), mentre nuove scoperte d’archivio contribuirono a illuminare almeno parzialmente la figura di Guidarello e le circostanze della sua morte.

Nel frattempo, il culto verso il monumento iniziava anche a dilatarsi oltre il contesto storico-erudito per assumere le forme di quello che oggi definiremmo come un vero e proprio mito pop. Quando, nel 1935, il marmo tornò da una mostra a Parigi, il direttore dell’Accademia decise di sospenderne l’esposizione al pubblico per ripulire il volto dalle tracce di rossetto lasciate – a suo dire – dalle ammiratrici d’oltralpe. Vera o falsa che fosse la notizia, era la prima manifestazione di un fenomeno destinato a deflagrare nel dopoguerra, quello del Guidarello come fonte di attrazione mistico-erotica per l’universo femminile.

Alimentato dalla stampa popolare (fra gli articoli pubblicati sui rotocalchi si annovera anche quello di una giovane Oriana Fallaci, per Epoca, nel 1952), il mito si basava sulla leggenda che il bacio al viso del cavaliere Guidarello Guidarelli avrebbe assicurato alla donna il matrimonio entro l’anno o, se già sposata, la nascita di un figlio altrettanto bello.

Lunghe file di ammiratrici cominciarono dunque ad assieparsi al cospetto della statua, e migliaia di lettere ad affluire colme di passione da ogni parte del mondo, tanto che l’ente del turismo di Ravenna dovette aprire un ufficio appositamente destinato a smaltire la corrispondenza. Nel 1970 – anno in cui fu trasferito nella nuova sede dell’Accademia a S. Maria in Porto, dove si trova tuttora – Guidarello fu immortalato anche dal cinema, nel film La ragazza di latta del regista Giorgio Aliprandi, con l’attrice americana Sydne Rome a porre le sue labbra sul celeberrimo volto.

La storia Guidarello Guidarelli, in memoria del cavaliere ucciso in una zuffa per una camicia – Ravenna IN Magazine 01/22
La scultura che ritrae Guidarello Guidarelli giacente sulla lastra tombale, oggi conservata al MAR di Ravenna.
Negli ultimi anni, anche in seguito al nuovo allestimento che impedisce il contatto diretto con la scultura, il rito del bacio è scomparso. Essa, però, è tornata alla ribalta del dibattito pubblico negli anni ‘90, quando due storici dell’arte hanno sostenuto la clamorosa tesi che si tratti non di un’opera cinquecentesca, ma di un manufatto del XIX secolo ispirato al gusto neomedievale dell’epoca. Sostenuta anche da studiosi come Federico Zeri e Vittorio Sgarbi, l’ipotesi non manca di aspetti plausibili, ma non risponde a una domanda fondamentale: se il nostro Guidarello è un falso ottocentesco, l’originale dove si trova? L’onere della prova, in questi casi, spetta a chi nega una lunga tradizione di attribuzione storica, e tale prova non è stata ancora fornita. Fino a quel momento, il Guidarello di Ravenna resterà il capolavoro con cui Tullio Lombardo, all’alba del Cinquecento, eternò la memoria del cavaliere ucciso in una banale zuffa per una camicia ricamata d’oro.

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