Alessandro Domeniconi e il rifugio ritrovato

di Francesca Miccoli
pietra dopo pietra la rinascita di un antico casale
Profuma di fiaba la storia del ritorno alla vita di un vecchio rudere di montagna, immerso nella rigogliosa meraviglia del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. Protagonista una piccola casa in sasso, all’anagrafe oltre centocinquanta anni di cui almeno sessanta trascorsi in preda all’incuria e all’oblio.

A realizzare un sogno apparentemente proibitivo, la dedizione, l’amore e lo spirito di sacrificio di Alessandro Domeniconi. Forlivese abituato a inoltrarsi lungo i sentieri appenninici assieme alla compagna. Galeotta fu proprio un’escursione in mountain bike. Nei pressi di Castagnoli di sotto in località Fiume, gli occhi del giovane si posano su una ‘casetta’ in stato di abbandono e ormai prossima al crollo. È un colpo di fulmine: da quell’istante l’obiettivo è restituire voce al piccolo edificio rurale nel rispetto della sua natura e del suo passato

È l’inizio di un lungo ‘tappone dolomitico’, addolcito da momenti di sana condivisione tra sconosciuti divenuti amici grazie alla comunanza di interessi e ideali. Ad agevolare l’impresa sono infatti gli incontri giusti. Quelli con il geometra Marco Bardi dello studio Locatelli, santasofiese fiero. E con Goffredo Pini, imprenditore edile di lunghissimo corso, maestro nel restauro e risanamento delle case rurali in sasso, profondo conoscitore di ogni centimetro di quel paradiso incantato chiamato Corniolo. “Bisogna essere matti per inoltrarsi in un’avventura simile,” la premessa divertita di Pini. “Basti pensare ai costi, almeno il doppio rispetto a quelli di un intervento tradizionale. E ai vincoli che insistono sul parco, dove non si possono certo montare tapparelle o finestre in alluminio!” 

Si parte nel 2020 e si consuma un anno solo per individuare il proprietario del rudere e ottenere i nulla osta per intervenire in un’area protetta, a due passi dalla riserva di Sasso Fratino, patrimonio dell’Unesco. “La casa era pericolante e parte del tetto puntellato per evitarne il collasso. Abbiamo dovuto procedere in maniera ragionata per lavorare in sicurezza.”

È la natura, da autentica padrona di casa, a ispirare e indirizzare la progettazione, preludio di un lavoro certosino condotto addirittura a mani nude. “Con scalpello e martello abbiamo scrostato la pietra di fiume, internamente e all’esterno, liberandola dall’intonaco fatto di sabbia e terra,” spiega Alessandro Domeniconi. Al lavoro maestranze e artigiani locali qualificati, persone abituate a operare nello stesso team, abilissime a recuperare un architrave in castagno.

“Di nuovo c’è davvero poco,” aggiunge Pini, “solamente i pietrami delle finestre. Abbiamo infatti riutilizzato tutta la pietra esistente dopo averla pulita, rimontata e stuccata.” Particolarmente probante la posa dei lastroni in pietra del tetto. “Non potendo utilizzare la gru, si è fatto ricorso a corde e carrucole come usava una volta,” confessa Alessandro Domeniconi. “Una fatica enorme, spezzata di tanto in tanto dalla condivisione di pane montanaro e salame, la benzina che serve lassù.” In un contesto simile, gesti apparentemente banali, come l’apertura di un rubinetto e la percezione del calore dell’acqua corrente assumono una valenza magica. 

Il risultato di tanto sforzo si compone di quattro stanze – cucina, bagno e due camere da letto – sviluppate su un’ottantina di metri quadrati a cui si aggiungono le due vecchie stalle ora adibite a cantina, dove è stato mantenuto il vecchio pavimento in pietra, e a locale tecnico per la centrale termica.

“Ogni stanza è di 3,5 metri per 4 metri, e i muri hanno uno spessore di 60-80 centimetri. Dai segni presenti in una camera si evince che probabilmente la casa è stata alzata, come capitava un tempo quando le famiglie si allargavano,” rivela il proprietario.

Minimali nel loro splendore anche gli arredi, nel sacrale rispetto del luogo e della storia. “Da qualche vecchio architrave sono state ricavate alcune mensole. Parte del mobilio antico o in stile arte povera è stato acquistato in loco e a Barberino del Mugello. La vera chicca è il piano cottura realizzato da un lastrone di un vecchio pioppo recuperato nell’alveo del fiume a Santa Sofia da un mastro falegname della Berleta.”

Il coronamento del sogno sembra tuttavia non chiudere il cerchio delle difficoltà. “Raggiungere la casa non è agevole, la strada è tutta sterrata e presenta alcuni punti davvero critici,” le parole di Pini. “In caso di neve è necessario percorrere gli ultimi cinque chilometri sulle ciaspole: per i titolari non un disagio ma un ulteriore motivo di attrattività.”

Una bella storia che potrebbe tradursi in esempio virtuoso? “Purtroppo nel parco non ci sono più case e non è possibile costruirne ex novo,” chiosa l’imprenditore. “Chi ce l’ha non la vende e quel che resta è irrecuperabile.” È eloquente tuttavia il messaggio del felice proprietario.

“A osservare la foto del rudere, in pochi avrebbero creduto nell’esito positivo del progetto, sviluppato in un periodo di 4 anni tra mille difficolta, legate non solo al meteo,” conclude Alessandro Domeniconi.

(continua…)

Alessandro Domeniconi e il rifugio ritrovato
In queste immagini, gli ambienti ristrutturati della casa in sasso immersa nel Parco delle Foreste Casentinesi.
Alessandro Domeniconi e il rifugio ritrovato
Alessandro Domeniconi e il rifugio ritrovato
“Mi piacerebbe che la nostra esperienza servisse da stimolo ad altri. Per comprendere che certe aree dei nostri paesi possono essere riportate in vita. E diventare un valore non solo per i proprietari ma per un intero territorio.”
Pubblicato su Forlì IN Magazine 05/24, chiuso per la stampa il 16/12/2024

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