“Un tempo Predappio Alta era un centro enologico e vitivinicolo molto importante,” racconta Alessandro Nicolucci, con i suoi 54 anni uno dei più giovani ancora radicati a la Prè. “La particolarità del terreno, abbracciato dalle vecchie miniere di zolfo e dal gesso cristallizzato, garantiva la produzione di vini di carattere, spessore, longevità, eleganza.
Intrinsecamente connessa alla nostra storia, sospesa tra sacro e profano, la cultura enologica si è tuttavia persa nel tempo. Facendo fatica a sostentarsi con la sola produzione di vino, le persone hanno scelto di trasferirsi a Forlì o verso il polo industriale di Ravenna.”
Eppure i sapori, i profumi e i colori delle etichette ‘made in Predappio Alta’ sono conosciuti e apprezzati a tutte le latitudini. “Nelle trasferte in Giappone, Stati Uniti, Canada o alle fiere del Nord Europa porto non solo un vino ma un intero territorio.”
Contrariamente a quando sentenzia la massima, la parte più intensa del viaggio è il rientro tra le mura domestiche. “Non si perde mai il piacere di tornare ai propri profumi e alle proprie abitudini, alla propria comfort zone. Si parte sempre con la voglia di rientrare, anche perché la qualità della vita nel nostro territorio è altissima.”
A casa la quotidianità di Alessandro Nicolucci è piuttosto intensa. “Da mattina a sera sono in azienda e mi divido tra campagna, cantina di trasformazione e ufficio. Qui pianifico l’attività commerciale, la partecipazione alle fiere e alle premiazioni sancite dalle guide. Un lavoro molto legato alla stagionalità.” Al crepuscolo il rientro a Forlì. Percorsi i circa 20 chilometri che separano le due mete del cuore, l’aroma non si disperde. Al contrario, la magia si rinnova ogni sera con liturgica puntualità.
Nel bel palazzo antico nel cuore della Forlì vecchia, i sensi si risvegliano già all’entrata. Tra i due ingressi dell’abitazione, il principale e quello affacciato sulla corte interna, ci s’imbatte con stupore in una imponente parete in rovere. Quattro metri di poesia possente, una vera e propria opera d’arte. “È realizzata con vecchie botti, caratterizzate da doghe di 6 o 7 centimetri di spessore. In cantina periodicamente vanno rinnovate e, una volta dismesse, privarsene sarebbe un vero peccato!”
A evitare il sacrilegio, un’illuminazione che vanta una duplice firma. “Mia moglie Angelica e l’arredatrice Mara Gondoni di Deposito Creativo hanno studiato come rigenerare le assi.” E il risultato è semplicemente sorprendente. “Come varchi la soglia sembra di entrare in cantina, si avverte un profumo, d’intensità più o meno accentuata a seconda dell’umidità: anche se in disuso da tempo, il legno rimane impregnato di vino e di sale di tartrato.”
In casa Alessandro Nicolucci la parete non è l’unico dettaglio che rimanda all’attività di famiglia: in una dimora elegante, raffinata e soprattutto accogliente. Caratterizzata dalla costante presenza del legno che conferisce calore agli ambienti, è possibile sedere su sgabelli in sughero e modellati a forma di tappo. Di stampo enologico anche alcune tende e una maniglia con piccola doga di una porta. Tra le ‘chicche artigianali’, una lampada realizzata da Nicolucci junior con una bottiglia di magnum come basamento. Un dono, apprezzatissimo dal genitore.
Ma la quinta generazione non è ancora pronta a raccogliere l’eredità paterna. “I miei figli hanno intrapreso strade differenti. Io da bambino sgattaiolavo in cantina e bevevo direttamente dallo spillatoio della botte. Esperienza che i miei tre ragazzi non hanno vissuto. Ci si può avvicinare a questo mondo anche da grandi.”
Galeotto fu invece il nettare di bacco nello sbocciare della storia d’amore che da oltre trent’anni unisce Alessandro Nicolucci e Angelica, medico dell’emergenza sulle piattaforme. “La conquistai con un bicchiere di cagnina. Da giovani ci si approccia ai vini più ‘facili’ ovvero dolci e meno alcolici. È stato il ‘la’ del suo percorso enologico.”
“All’epoca studiavo all’Università di Modena e prendevo in giro Alessandro Nicolucci inneggiando al lambrusco e ai vini emiliani,” ribatte la deliziosa consorte.