Alessandro Renda, attore ravennate che può già vantare una carriera con tanti successi. Lo incontriamo per conoscerlo meglio come artista e come persona. Aperto, diretto, entusiasta delle esperienze fatte, fin dalle prime battute si capisce che sa quello che vuole. “Ero un bambino, alle scuole elementari, e già mi piaceva imparare a memoria le poesie,” racconta.
“In occasione delle recite, volevo interpretare più parti, ero ‘ingordo’, una passione che è cresciuta sempre di più. Al liceo volevo fare la non-scuola di Martinelli ma ho trovato posto solo negli ultimi due anni di liceo, finalmente!”
Gli occhi di Alessandro Renda sono molto vivaci e rivelano grande volontà e passione. Il debutto lo vede nel Teatro delle Albe, coinvolto nello spettacolo I Polacchi, testo e regia di Marco Martinelli, ispirato all’Ubu re di Alfred Jarry. I ‘palotini’, il gruppo di giovani attori di cui faceva parte, ebbero una nomination come ‘Miglior attore under 30’ per i Premi Ubu 1999.
Lo spettacolo raccolse molto successo, anche internazionale, dal Portogallo all’Iran e con tournée in Francia, Germania e Svezia. “Questo è stato il primo passo,” racconta Alessandro Renda. “Poi da dodici ‘palotini’ rimanemmo in quattro e proseguimmo, sempre sotto la guida di Martinelli ed Ermanna Montanari. Posso dire che il lavoro di preparazione di un anno, molto impegnativo, corrispondeva a un anno di Accademia.”
Renda interpretò, in seguito, Sogno di una notte di mezza estate, riscrittura da William Shakespeare di Martinelli, presentato alla Biennale di Venezia. Era l’anno 2002. Parallelamente alla carriera di attore, porta avanti quella di guida nei laboratori della non-scuola e inizia anche a girare dei video partendo da Athens 1600 dallo spettacolo Sogno di una notte di mezza estate.
In seguito cura l’area video delle Albe digitalizzando tutte le riprese di archivio della compagnia con riferimento agli anni Ottanta-Novanta. Col passare del tempo viene sempre più coinvolto, segue e documenta l’allestimento di una nuova versione de I Polacchi con un gruppo di studenti africani della Senn High School, che debutta al Museum of Contemporary Art di Chicago.
Un momento molto importante lo vede protagonista del poema in versi scritto e diretto da Martinelli e musicato dal vivo dai Fratelli Mancuso, Rumore di acque, un intenso monologo. Che trasfigura in grottesca e malinconica poesia la cronaca tragica dei barconi alla deriva nel Mediterraneo. Lo spettacolo, ancora in repertorio, è stato al centro di una tournée che ha attraversato tutta l’Italia con diverse tappe in Europa e Stati Uniti e ha ottenuto il patrocinio di Amnesty International.
E proprio negli Stati Uniti Alessandro Renda diventa protagonista di una lunga tournée (New York, New Jersey, Chicago). Interpretando Rumore di acque che divenne Noise in the Waters. E collaborando con il musicista Guy Klucevsek. In occasione della lunga permanenza di Rumore di acque a La Mama Theatre di New York, è guida di Heresy of Happiness (diretto da Martinelli) e lavora con gli studenti de La Scuola d’Italia Guglielmo Marconi e della Corpus Christi School di Manhattan.
Tornato in Italia, a partire dal 2017, interpreta vari personaggi nella Chiamata pubblica della Divina Commedia nelle tre cantiche. Ulisse in Inferno, Marco Lombardo in Purgatorio, Giustiniano in Paradiso. Intensa anche la sua recente attività. “A settembre il Ridotto del teatro Rasi ha ospitato HereThereWhere, uno spettacolo ideato e diretto da me insieme a Mark Anderson e Isabelle Kralj, fondatori della compagnia statunitense Theatre Gigante. Con loro era già in programma un lavoro che la pandemia ci ha impedito di portare in scena.
In HereThereWhere, lo dice già il titolo,” precisa Renda, “raccontiamo lo smarrimento esistenziale che abbiamo vissuto con la pandemia e non solo.” La storia si rifà ai modelli del teatro dell’assurdo di Ionesco e Beckett. I tre protagonisti hanno ricevuto un enigmatico invito a una festa di cui ignorano giorno, luogo, orario e mittente. I tre iniziano a scervellarsi per capire se il non andare potrebbe offendere qualcuno, ma chi? Lo spettacolo ha registrato un debutto di successo a maggio negli Stati Uniti.
Infine Nephesh, parola ebraica che vuol dire ‘soffio’, ‘respiro’, ‘anima’, ‘vita’, è l’ultimo lavoro. Testo scritto con Tahar Lamri e sonorizzato da Antropotopia, che nelle prime settimane di ottobre ha visto gruppi di 20 persone seguire l’autore in un silenzioso percorso attraverso i monumenti del cimitero di Ravenna.
“Il cimitero,” spiega, “nei momenti di incertezze che stiamo vivendo, si mostra come lo spazio sicuro in cui accettare e accogliere questa fase dell’esistenza con la dovuta serenità o lucidità. Oltre a essere un luogo di memoria, di preghiera, di riflessione sulla transitorietà della vita, rappresenta quell’incontro tra passato e presente, tra vita e morte. È un varco tra coloro che ci hanno preceduto, noi stessi e coloro che verranno.”