Dal 2015, Andrea Spada è consulente sommelier per Casa Spadoni. E dal 2019 anche del Mercato Coperto di Ravenna, con cui condivide la visione eclettica per la ristorazione, il forte legame con il territorio, l’attenzione nella cura del prodotto.
A livello personale, è una forza della natura. Nato per stare in mezzo alle persone, con quella vocazione naturale a mettere a proprio agio tutti per consentire di passare momenti piacevoli insieme. Un simbolo indiscusso della migliore ospitalità in Romagna. Con ottime doti di intrattenimento visto che di recente Andrea Spada è arrivato anche secondo al Faenza Cabaret dedicato al grande Alberto Sordi.
D. Si può dire che il suo percorso professionale sia nato già quando frequentava la scuola alberghiera?
R. “Sì. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di conoscere Nevio Raccagni, patron de La Grotta di Brisighella, una stella Michelin, che chiamava mia madre ogni volta che mi portava con sé in giro per l’Italia. Così, qualche volta saltavo la scuola, in compenso avevo la grande opportunità di ascoltare, di confrontarmi con grandi maestri e di assaggiare i primi vini.”
D. Poi, finita la scuola tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, si sono spalancate le porte di due ristoranti stellati…
R. “Sì. Ho iniziato subito a lavorare come sommelier prima al Notai di Bologna, una stella Michelin, e poi a La Frasca di Castrocaro Terme, due stelle Michelin per ben 26 anni, dove sono rimasto cinque anni. Alla corte del patron Gianfranco Bolognesi ho imparato davvero tanto: finalmente potevo vedere dal vivo, sulla carta, i vini che avevo studiato e che in quegli anni non era facile trovare in giro. Fu un’ottima palestra.”
D. Ed è lì che ha maturato l’ambizione di diventare primo sommelier d’Italia…
R. “Sì, lo stretto contatto con Bolognesi, primo sommelier d’Italia nel 1974, è stato estremamente stimolante. Ricordo ancora il giorno in cui l’ho visto con la fascia tricolore e il tastevin e ho pensato che un giorno lo sarei diventato anch’io. A distanza di tempo posso dire di essere stato molto fortunato ad avere sin da giovane grandi maestri, cosa che non capita così spesso al personale di sala oggi. Il maître mi ha preso sotto la sua ala e mi ha insegnato la psicologia di sala, tutti i segreti del mestiere. Ricordo che aveva lo stesso aplomb di un maggiordomo inglese, capace di gestire con eleganza ogni tipo di cliente, da chi amava ostentare i soldi che ha a chi invece entrava timoroso in un ristorante rinomato per concedersi un regalo, con l’unico scopo di fare sentire tutti a proprio agio.”
D. A soli 25 anni decide di mettersi in proprio con lo chef Remo Camurani, aprendo la Trattoria di Strada Casale. Com’è andata?
R. “All’epoca Brisighella, piccola località di sole 5.000 anime, vantava ben due ristoranti stellati, era quindi una meta molto apprezzata a livello gastronomico. Il nostro locale era un po’ fuori dal paese, per questo ci siamo subito preoccupati di segnalare ‘a 8 km da Brisighella’ sul biglietto da visita. Dovendo riassumere, è stata un’esperienza magnifica di ‘fanta ristorazione’: avevamo un menù che cambiava ogni giorno e che prevedeva un antipasto, un primo, un secondo, un dolce e tre vini. Tutto era fatto rigorosamente in casa e in giornata, dalla pasta ai conigli e alle faraone, il congelatore non ci serviva. Avevamo una bella carta dei vini. Ci siamo molto divertiti, abbiamo preso subito la chiocciolina di Slow Food.”
D. Proprio in quel periodo, per la precisione nel 1994, è arrivato il premio di Primo Sommelier d’Italia che ha confermato anche l’anno successivo…
R. “Sì. Non è stato così scontato perché l’anno precedente aveva vinto Roberto Gardini, anche lui romagnolo. Proprio la sera prima della proclamazione sono stato informato che in genere una regione non vinceva mai per due volte consecutive a parità di punti. Dentro di me, da buon scorpione come sono, mi dicevo che avrei ottenuto più punti. E così è stato. Il premio ha chiaramente portato molta pubblicità al mio locale, c’era gente che veniva anche da Ravenna, disposta a farsi 50 km per mangiare. In parallelo ero molto richiesto per corsi da sommelier.”
D. Andrea Spada,prima ha parlato di ‘fanta ristorazione’. Cos’è cambiato oggi?
R. “Un po’ tutto. Oggi la gente non sceglie più i menù degustazione, al massimo due piatti e un dolce diviso in due. Anche il bere è diventato un problema con le nuove leggi, non tutti possono permettersi l’autista per rientrare o contare su un amico astemio.”
D. Alla ricerca di nuovi stimoli dal 2000 al 2003, apre il Circolo degli Artisti a Faenza, locale cult che ha visto sul palco artisti come Fabrizio Bosso, Stefano Bollani e Paolo Fresu. Poi è stata la volta del Noè…
R. “Con il primo locale ho abbracciato la mia passione per l’arte e lo spettacolo dal vivo. Con il secondo mi sono divertito a fare una carta delle esperienze organolettiche, in cui associavo a ogni vino un determinato piatto.”
D. In seguito è arrivata la chiamata di Leonardo Spadoni che l’ha coinvolta in un grande progetto di valorizzazione del territorio. Cosa l’ha spinta ad accettare?
R. “Come sempre la voglia di diversificare e mettermi in gioco, restando legato al meglio di ciò che la Romagna può offrire. Casa Spadoni a Faenza, che è un po’ la casa madre, è un locale molto impegnativo. I primi tempi, ricordo che di notte mi sognavo la gente perché dovevo gestire 400-500 persone e non era facile trovare personale all’altezza. Poi sono arrivate l’apertura a Ravenna di Ca’ del Pino, Casa Spadoni San Vitale e Mercato Coperto. Fra poco apriremo in centro storico a Bologna.”
D. Lei si è anche inventato l’Albana Day insieme a Carlo Catani. Perché?
R. “Ci sembrava un peccato che l’Albana non fosse conosciuta e inserita in menù fuori regione. Così abbiamo pensato a un concorso con due premi, quello della critica e quello del popolo.”
D. Il miglior vino per lei?
R. “Non esiste, un po’ come per le belle donne. C’è un giorno che ne assaggi uno ed è perfetto per quella situazione. Comunque amo il Sangiovese, il Nebbiolo e il Nerello Mascalese, tre grandi vitigni italiani.”
D. Cosa pensa dei vini naturali?
R. “Se ne parla molto ma molti cavalcano solo l’onda. Mio nonno era biodinamico e non lo sapeva! Ne ho assaggiati alcuni ma li trovo difettosi, bisogna fare qualcosa per aggiustarli.”
D. Il suo sogno nel cassetto?
R. “Ho 56 anni e, guardando al futuro, mi immagino in un posto con sei tavolini, 5 piatti e qualche vino, per continuare a stare in mezzo alla gente e a farle stare bene, con esperienze organolettiche. La mia vita è questa, è convivio.”