Archivio di Stato di Ravenna, viaggio nel tempo

di Chiara Bissi, foto Massimo Fiorentini
La grande Cultura Conservata nell’Archivio di Stato di Ravenna
Per misurare la grandezza degli Archivi di Stato si usano i chilometri lineari, un’unità di misura inusuale che fa di Ravenna una sede di media grandezza in Italia. Quello ravennate si estende per 9 km in un edificio in piazzetta dell’Esarcato, e contando la sede di Faenza si arriva a 12 km; Modena raggiunge i 30 km mentre Roma supera i 100.

Nove funzionari, diretti da Michela Dolcini, si occupano nell’Archivio di Stato di Ravenna della conservazione e tutela di documenti, di 7.000 pergamene. E poi di intere collezioni di libri, mappe, piante, in un arco temporale che va dal Novecento fino alla fine del 1900.

Un viaggio nel tempo attraverso il sapiente lavoro di chi per secoli ha registrato, documentato ogni attività umana. Ogni atto capace di regolare la vita pubblica e le relazioni tra cittadini e tra questi e le autorità. Cura l’Archivio di Stato di Ravenna un gruppo dinamico e giovane che alla gestione ordinaria affianca un’intensa attività didattica e divulgativa. Organizzando mostre, convegni, eventi, nonché curando un’efficace comunicazione digitale, tramite il sito internet e i social.

Promuove inoltre progetti di ricerca dedicati alla conoscenza dello sterminato patrimonio, composto dall’Archivio Notarile di Ravenna e Cervia, dal Catasto terreni prenapoleonico. Dagli archivi delle corporazioni religiose con le celebri mappe delle pinete, della Legazione apostolica di Ravenna e della Romagna. E ancora gli archivi della città della Bassa Romagna, della Prefettura, della Questura, della Provincia, del genio civile, della Camera di Commercio, della famiglia Rasponi dalle Teste. E i tesoretti Bernicoli e Zoli, solo per citare alcune voci. A Faenza sono conservati atti del governo della città e di Brisighella, Castel Bolognese e Casola Valsenio.

Nelle sale di consultazione e di studio si possono incontrare ricercatori, storici, studiosi, studenti. Ma anche architetti e notai in cerca di passaggi di proprietà, di commissioni di opere d’arte o di progetti depositati. Più di recente le ricerche si sono concentrate, dopo l’alluvione, sulla genesi e costruzione di opere pubbliche.

I ricercatori che si muovono sicuri, sempre affiancati dal personale, tra testi in latino e in italiano volgare, indagano mappe, leggono rogiti notarili o verbali di inchieste e atti processuali, alla scoperta di vicende inedite e di particolari misconosciuti. E per questo si distinguono dai tanti compilatori di storie e vicende scritte e riscritte, che affollano l’editoria locale e nazionale. Non manca poi chi si rivolge all’Archivio di Stato di Ravenna dall’estero in cerca dei propri avi italiani nelle liste di leva o nei ruoli militari.

“Non è possibile fare ricerca in archivio per argomento,” racconta la direttrice dell’Archivio di Stato di Ravenna Dolcini, affiancata dal responsabile della didattica Fabio Lelli. “I documenti non sono ordinati per materia, occorre sapere quale soggetto li ha prodotti. Serve conoscere i nuclei maggiori e la loro organizzazione. Con le scuole lavoriamo molto sull’importanza delle fonti e dei documenti con visite guidate e percorsi didattici mirati, dall’Alto Medioevo all’Unità d’Italia.”

La storia della costa ravennate e dei segni d’acqua. I contratti agrari e la vita dei monaci nelle grandi abbazie ravennati. Il Brefotrofio dell’ospedale Santa Maria delle Croci che si occupava della cura dei neonati abbandonati. Queste sono solo alcune tracce che raccontano il passato. Una mostra dal grande impatto emotivo, che raccoglie registri e piccoli oggetti che accompagnavano i neonati, a cui dopo l’Unità d’Italia venivano dati non più cognomi come Casadio o Casadei o Diotallevi ma nomi di cibi, frutti, piante e professioni.

Medagliette, cuori, biglietti, nastri, ricami raccontano lo strazio delle madri per l’abbandono dei propri figli. Ma anche la storia più recente offre vicende di grande interesse, grazie al tribunale. Ecco il furto della cosiddetta Corazza di Teodorico del 1924. L’assalto della Federazione delle cooperative del 1922 e prima il processo a seguito del ritrovamento del corpo di Anita Garibaldi a Mandriole nel 1849. Di sicuro effetto sono le firme dei notai, prima in forma di disegno con l’onnipresente croce, con acronimi e simboli riferibile al proprio nome, poi dal Settecento in forma di timbro con motti e illustrazioni curatissime.

Un capitolo a parte va riservato allo studio delle tracce lasciate da Dante Alighieri durante la sua permanenza in città, al successivo culto, alla vicenda delle ossa e della costruzione della Tomba. In occasione del VII centenario della morte del Sommo Poeta l’attenzione sui documenti ‘danteschi’ dell’Archivio è stata massima.

“In occasione del Dantedì 2021,” spiega la direttrice, “Laura Pasquini, storica dell’arte medievale all’Università degli Studi di Bologna, ha dedicato alle fonti iconografiche della Commedia, riconducibili ai mosaici tardo antichi di Ravenna, un contributo video visibile nel sito dell’archivio.” Purtroppo non esistono documenti attribuibili al Poeta, ma c’è più di un riferimento.

Archivio di Stato di Ravenna, viaggio nel tempo
In questi scatti, l’Archivio di Stato ravennate. Qui sopra, Michela Dolcini e Fabio Lelli.
Archivio di Stato di Ravenna, viaggio nel tempo
“In un documento notarile,” ricordano la direttrice Dolcini e il funzionario Lelli, “appare una frase che cita suor Beatrice come figlia Dantis, abbiamo materiale sull’avventura delle ossa e le diatribe francescane, e poi fascicoli sullo spostamento dei resti nei secoli, fino all’ultima apertura della cassetta avvenuta negli anni Quaranta con l’elenco del contenuto.” Di grande interesse la figura del notaio Pietro Giardini, citato da Boccaccio e per certo componente del cenacolo ravennate di Dante. E infine molto documenti si riferiscono alla creazione della zona del Silenzio.
Pubblicato su XX IN Magazine XX/XX, chiuso per la stampa il XX/XX/XX

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