Da un lato ci sono le accuse del mondo imprenditoriale secondo cui non c’è più la voglia di lavorare di una volta, anche tra camerieri e personale di sala. Dall’altro le rimostranze della manodopera per turni di lavoro sfiancanti e retribuzioni inadeguate. In sostanza un matrimonio all’apparenza difficile da celebrare.
Abbiamo provato a capirne un po’ di più di queste dinamiche incontrando addetti ai lavori e rappresentanti del mondo scolastico. I professori Sara Pratelli e Tiziano Giovannini dell’Istituto Alberghiero Savioli di Riccione ci hanno aiutato a comprendere un po’ meglio il punto di vista dei ragazzi. Spesso (e impropriamente) accusati di aver poca voglia di lavorare.
“È chiaro,” esordiscono i professori, “che quello dei camerieri è un lavoro impegnativo e faticoso, spesso al di là delle aspettative stesse dei ragazzi. Ma è anche evidente che oggi, soprattutto in certi contesti, questo mestiere non sia correttamente retribuito e valorizzato, per ore lavorate e competenze spesso richieste.”
“C’è poi un evidente problema di reputazione degli istituti alberghieri in Italia,” concludono i professori. “Ritenuti a torto una sorta di rifugio per gli studenti meno dotati e meno vogliosi di studiare. Questa percezione, che parte dalle scuole medie, non aiuta ad accrescerne l’apprezzamento sociale.”
Il ruolo della scuola come luogo di formazione tecnica e umana emerge anche nell’incontro con Claudio Di Bernardo, Food & Beverage Manager del Grand Hotel di Rimini. “I problemi che questa professione sta affrontando da diversi anni, accentuatisi con la pandemia, sono di diversa natura,” afferma Di Bernardo. “E hanno motivazioni sociali, culturali e politiche.
Sociali per la scarsissima considerazione di cui gode la professione dei camerieri, vista (quasi sempre) come temporanea e di ripiego, con rarissime opportunità di carriera o crescita professionale. Culturali, perché non si comprende realmente quali e quante competenze vengano richieste a un cameriere che vuole crescere e fare carriera.
Politiche, per l’assoluta mancanza di strategie di welfare verticali e ad hoc per una professione con precise peculiarità organizzative. Per rilanciare questa professione occorre un cambio di passo su più livelli, dal sistema scolastico fino alle politiche nazionali. Solo così potrei coronare il mio sogno di vedere in Italia un corso di laurea in ‘ingegneria della sala’. Che desse a questo mestiere la scientificità che merita.” È una provocazione, ma neanche tanto.
Su questa lunghezza d’onda anche Fabrizio Timpanaro, Restaurant manager del ristorante Quartopiano. “Il ruolo del cameriere deve riappropriarsi di quell’allure di cui godeva in tempi passati, ed è un processo complesso. Il corto circuito domanda-offerta di lavoro che stiamo vivendo ha varie cause. Tra le principali quella legata a contratti e giorni di riposo, alla consuetudine sbagliata di dover per forza fare un lavoro ‘fuori misura’, spesso senza limiti … soprattutto in Romagna, dove non si deve mai dire no.
Oggi le persone si sono rese conto che questo mestiere è alienante se fatto con certe modalità, perché sottrae buona parte della vita privata.” E per evitare la ‘bancarotta del personale’, “è fondamentale che i nostri collaboratori,” prosegue Fabrizio, “trovino un luogo di lavoro motivante e formativo. Che li aiuti a crescere e gli offra una prospettiva. Nella maggior parte dei casi questo è un lavoro di ripiego. Offrire stipendi più consoni, orari di lavoro più accettabili e qualche premialità in più è il minimo per poter scardinare cattive abitudini legate al passato. Come l’esasperazione di quel servilismo che ha contribuito alla svalutazione della professione del cameriere.”
E proprio sulla formazione pone l’accento Andrea Tani, consulente e formatore F&B. “L’aggravarsi delle difficoltà di trovare personale di sala,” sostiene Tani, “deve essere affrontato guardando tanto agli aspetti normativi, su cui non si è mai legiferato in maniera confacente alle sue caratteristiche e dinamiche lavorative, quanto soprattutto alla formazione (più specifica e aggiornata), chiave di crescita professionale imprescindibile anche per costruire modelli organizzativi e di business più virtuosi.
La progressiva perdita di interesse verso questa professione dipende da come si presenta e comunica, dalle retribuzioni insufficienti e dai turni di lavoro insostenibili. Per attrarre in particolare le nuove generazioni, dobbiamo rimettere il cameriere al centro dell’offerta ristorativa, valorizzarne ruolo e importanza sia nel contatto con il pubblico che nella presentazione dei cibi. Cosa che può fare la differenza tra un’esperienza gastronomica mediocre o di elevata qualità.”
Come si può allora invertire questa pericolosa deriva? “Oggi i camerieri si sentono, a ragione, attori non protagonisti in uno spettacolo nel quale le vere star sono gli chef,” riprende Di Bernardo. “è urgente che tutti noi collaboriamo per ridare dignità e giuste prospettive professionali ai camerieri.”
Per Fabrizio Timpanaro i camerieri rappresentano una risorsa strategica da selezionare con attenzione: “Sono fondamentali certo la formazione e le competenze, ma soprattutto l’empatia. La capacità di comprendere bisogni ed emozioni dei clienti durante il servizio è basilare, oggi ancor più che in passato, con una clientela più preparata e più critica.” Anche Andrea Tani rimarca l’importanza delle soft skills: “Sono più determinanti delle competenze tecniche. Saper comunicare e interagire con i clienti è più importante che saper portare un piatto.”