Carlo Zoli, scultura epica

di Aldo Savin, foto Lidia Bagnara
Il ceramista faentino Carlo Zoli Tra ‘quiete’ E ‘tempesta’
A conclusione della XIV edizione della Florence Biennale, mostra internazionale di Arte e Design, tenuta alla Fortezza da Basso dal 14 al 22 ottobre scorso, la giuria internazionale ha assegnato il Primo Premio ‘Lorenzo il Magnifico’ per la sezione Ceramica all’artista faentino Carlo Zoli per l’opera I sacri fratelli, terracotta policroma, patinata con velature bronzee e rifinita a foglia d’oro.

Carlo Zoli appartiene a una famiglia di ceramisti. Il bisnonno, di cui riprende il nome come usava in Romagna, lavorava in borgo Dulbecco. E il nonno Paolo, lasciata la fabbrica Minardi, si mise in proprio nel 1919 insieme ad altri ceramisti faentini. Carlo Zoli invece nasce a Bari nel 1959, nel periodo in cui il padre Francesco insegnava decorazione artistica a Molfetta. Ma già a otto anni torna con la famiglia a Faenza e, pertanto, si considera a tutti gli effetti romagnolo.

Riconoscendo le sue capacità nel modellare l’argilla fin da ragazzo, il padre gli trasmette la passione per l’arte anche senza fargli vedere il lavoro che faceva come scultore. Infatti, impedendogli di andare in studio, lo spinge a frequentare l’Istituto d’Arte per la Ceramica e successivamente ad avviare una propria attività. In quegli anni giovanili Carlo Zoli guarda ai grandi scultori del Novecento, Henry Moore, Arturo Martini e Marino Marini per la vitalità, tra ‘quiete e tempesta’, che esprimono i loro lavori.

Pur venendo spesso definito scultore ceramista, si considera un modellatore che plasma la materia levando e aggiungendo. Ama l’argilla, un materiale molto duttile, caldo e morbido che ha una sua dolcezza, mentre lo scolpire è solo togliere e comporta un rumore che non sopporta.

Nell’atto del modellare entra la mente ma anche il corpo e le mani che riescono a creare la forma seguendo il pensiero. Accetta l’imperfezione, la scivolata, un movimento incerto e non previsto. Per questo nella sua poetica entra anche il caso e l’improvvisazione. Ed è quindi lontano dalla ceramica tradizionale che nasce come oggetto per il consumo – piatti, stoviglie e vasellame – e che richiede la levigatura collegata alla tornitura e poi lo smalto.

Oltre all’argilla fermata nella terracotta, in tempi recenti Carlo Zoli usa altri materiali, metalli, resine e gesso. Le sue sculture si sviluppano verso l’alto, in verticale, raramente in orizzontale, in equilibri apparentemente precari ma che mantengono una straordinaria stabilità. Una volta cotta, la scultura di color biscotto viene immersa in una sostanza scura che asciugandosi si presta per esser trattata con caolini colorati, bronzo di campana, oro pallido, perché assuma l’aspetto del bronzo.

Esteticamente non si allontana dalla figurazione, rimanendo molto legato alla mitologia greca e al mondo omerico dell’Odissea, un mondo passato eppure attuale. Il cavallo è stato il suo primo amore e non lo ha mai abbandonato, tanto da essere riconosciuto come l’artista dei cavalli. Il cavallo evoca imprese, lotte, sfide da affrontare nel vivere quotidiano: è il simbolo dell’energia che si sprigiona dentro di noi. È un animale nobile che dà tutto se stesso per l’uomo e per lo sviluppo della civiltà, è forza, vigore ed eleganza. 

Carlo Zoli, scultura epica
In questi scatti, l’artista faentino Carlo Zoli posa insieme alla sua opera, ‘I sacri Fratelli’.
Poi, oltre al mito, nella sua produzione è entrata la figura del guerriero vigoroso e atletico, che combatte l’ingiustizia, simbolo dell’aspirazione alla libertà. Ottavio Borghi, in occasione di una mostra a Gmunden, città austriaca della ceramica gemellata con Faenza, scrive: “La sua scultura è lo specchio dell’eterno contrasto fra il plasticismo mimetico, il culto romantico dell’immagine, la tendenza modernizzante alla sintesi e a un’ardita e complessa elaborazione che possa conferire slancio e senso del divenire alle figure.”
Pubblicato su XX IN Magazine XX/XX, chiuso per la stampa il XX/XX/XX

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