Chiesa di San Domenico: il recupero

di Andrea Casadio, foto Massimo Fiorentini
Recupero di un monumento di alto valore artistico
Le recenti dichiarazioni di Antonio Patuelli sulla necessità di un recupero della Chiesa di S. Domenico per un suo utilizzo a vantaggio dell’università hanno avuto il merito di gettare finalmente una luce su quello che da tanti, troppi anni, è un vero e proprio buco nero nel centro storico di Ravenna.

Per sua sfortuna, la Chiesa di San Domenico non fa parte della canonica serie delle basiliche dell’epoca d’oro tardoantica e bizantina. E, a dispetto della sua imponenza, è tutto sommato poco visibile all’interno del contesto urbano, circondata com’è da abitazioni ed edifici diversi.

In realtà, si tratta di un monumento dal valore artistico di primo piano. E il luogo in cui si trova la Chiesa di San Domenico non è solo lo sbocco della più importante fra le strade commerciali del centro, ma anche uno dei punti cruciali della storia della città.

Era infatti qui, nell’area attorno a piazza Costa, al Mercato coperto e appunto alla Chiesa di San Domenico, che si trovava anticamente l’incrocio di acque su cui, con tutta probabilità, si agglutinò il primo nucleo di Ravenna vari secoli prima di Cristo. In epoca romana quell’incrocio era costituito dalla confluenza fra il Padenna, con il suo corso impostato sulla direttrice nord-sud, e il Flumisellum, che proveniva da est fiancheggiando l’odierna via Cavour.

A sud si estendeva la città antica e, a quanto sembra, all’incirca nel sito oggi occupato da S. Domenico sorgeva uno dei suoi edifici pubblici più importanti, il Campidoglio. Per certo si sa che nell’alto Medioevo vi si trovava una chiesa. S. Maria in Gallope, il cui nome derivava forse da quello dell’esarca bizantino Teodoro Calliopa.

Fu appunto quest’ultima, allora di proprietà del monastero di S. Giovanni Evangelista, che nel 1269, insieme all’adiacente torre detta di Buccalario, venne concessa dal monastero, dal Comune e dall’arcivescovo Filippo ai Domenicani. Quando questi furono chiamati in città perché vi fondassero un proprio convento.

Insieme ai Francescani – ai quali era stata riservata pochi anni prima la basilica di S. Pietro Maggiore, appunto l’attuale S. Francesco – i Domenicani erano l’altro grande ordine mendicante di recente fondazione. E, in quei decenni centrali del XIII secolo, in rapida espansione in tutte le principali città italiane.

Rispetto ai più pastorali seguaci di san Francesco, quelli di san Domenico rappresentavano l’anima intellettuale dei nuovi ordini, con un particolare riguardo all’attività di predicazione e alla lotta all’eresia. Facile capire, dunque, che i vecchi edifici che ricevettero con la donazione del 1269 non potevano rispondere alle loro necessità e alle loro ambizioni.

Senza dubbio i lavori di ampliamento e la costruzione del nuovo convento ebbero inizio immediatamente, ma giunsero a compimento solo un secolo dopo, con la riconsacrazione della nuova chiesa nel 1374.

Oggi, di questo edificio in stile gotico restano solo poche tracce. La parte inferiore della facciata (ben riconoscibile la linea del timpano, assai più basso di quello attuale) con la grande finestra rotonda. Gli archi di sepolture a sesto acuto oggi murati alla sua base. I contorni di antiche finestre nella fiancata e nella parete posteriore su via Mordani, alcuni lacerti di affreschi all’interno.

All’epoca rinascimentale risale invece il piccolo portico nella piazzetta su via Matteotti. L’aspetto attuale della chiesa si deve però, nel complesso, alla ricostruzione attuata fra il 1699 e il 1703. Su progetto dell’architetto romano Giovan Battista Contini.

Per quanto incompiuto nella facciata, ne risultò un grande edificio barocco a navata unica scandita da sei altari laterali (tre per lato), uno dei quali progettato da Camillo Morigia. Oltre ovviamente all’altare maggiore nel presbiterio. E arricchita dalla presenza, a sinistra di quest’ultimo, della cappella del Crocifisso, ricostruita fra il 1746 e il 1755 a opera dei fratelli Domenico e Andrea Barbiani.

A fare di S. Domenico il contenitore più significativo delle testimonianze artistiche ravennati fra il Rinascimento e il Barocco era poi la presenza, a ornamento degli altari, di varie opere dei principali autori di quell’epoca. Ravennati e non, oggi inserite in collocazioni museali. Nicolò Rondinelli, Luca e Barbara Longhi (di Luca la chiesa ospita anche il sepolcro), Benedetto Coda e altri.

Del resto, la chiesa in quanto tale era solo una parte del grande complesso dei Domenicani. La quale, insieme al convento e ai vari edifici di loro proprietà, comprendeva l’intero isolato racchiuso fra le attuali vie Cavour, Matteotti, Mordani e Pasolini.

Quando, nel 1797, il governo napoleonico soppresse il convento, le componenti di questo microcosmo urbanistico seguirono destini diversi. Mentre case e botteghe furono cedute a privati, il vecchio stabile del convento, nel 1845, fu destinato dal Comune a sede delle scuole pubbliche. Fissandone la destinazione d’uso che ancora oggi, pur con ricostruzioni successive, è perpetuata dalla scuola Mordani.

La chiesa divenne invece sede parrocchiale. E tale rimase per oltre un secolo e mezzo, fino al 1963. Ristrutturata dopo i gravi danni subiti dai bombardamenti del 1944, negli anni ‘80 le sue condizioni si presentavano nuovamente assai precarie, motivo per cui dovette essere chiusa e sottoposta a una nuova serie di lunghi e radicali restauri. Ciò permise la sua parziale riapertura, con il nome di Urban Center, come sede di mostre temporanee, finché gli effetti del terremoto del 2012 non ne imposero la nuova e finora definitiva chiusura.

Chiesa di San Domenico il recupero
La facciata esterna della Chiesa di San Domenico in Via Cavour.
Il risultato di tutto questo è che ci sono due generazioni di ravennati che non hanno mai visto l’interno di S. Domenico. L’auspicio è che non si debba attendere la terza prima che il grande edificio ritrovi finalmente il posto che gli compete all’interno del patrimonio monumentale della città.
Pubblicato su XX IN Magazine XX/XX, chiuso per la stampa il XX/XX/XX

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