Debora Zoli, 40 anni, faentina, è una di quelle persone che a un certo punto hanno incontrato le loro personali sliding door e accettato di guardare oltre, aprendole. “Era la stagione 2001/02,” racconta. “Lavoravo nell’Andrea Costa Imola Basket come interprete dei giocatori americani ma anche come loro assistente nelle pratiche burocratiche e contrattuali e negli aspetti della loro vita quotidiana.
Al tempo stesso collaboravo con testate giornalistiche locali per le quali scrivevo di automobilismo e motociclismo. A Imola ho cominciato a entrare in contatto con molti agenti e ho iniziato a capire cosa serviva per fare sì che quello che già allora era un mio sogno potesse diventare realtà.”
Spesso i sogni, soprattutto quelli che implicano un cambio drastico di vita, vanno incoraggiati. Così si spiega la scelta di andare a vivere a Dubai. “In realtà è stato un passaggio intermedio. Mi occupavo del settore immobiliare, ma avevo cominciato a intensificare il mio lavoro di agente chiudendo già diversi contratti.”
E il lavoro da agente diventa così intenso da sovrastare quello da immobiliarista e rendere inevitabile il trasferimento negli Stati Uniti, a Los Angeles. I passaggi sono molto rapidi: l’acquisizione della licenza Fiba della Federazione internazionale di basket e quella Nba, specifica per il basket professionistico americano, e in mezzo la laurea in Business Administration conseguita a Londra.
“Per quanto riguarda la licenza Fiba, che si prende in Svizzera, ho avuto la fortuna di acquisirla il primo anno in cui è stata proposta,” ammette. “È stato un esame abbastanza facile e breve. Adesso sicuramente è un ostacolo più alto.
Quella licenza permette di muoversi in tutti i mercati e di lavorare ovunque ma non nella Nba. Per entrare nel grande mondo del basket statunitense ho dovuto acquisire anche quella licenza specifica: un esame più difficile che ha richiesto molte più ore di studio.”
Poi ancora, ecco l’apertura di un’agenzia, la DG Sport, nella quale lavorano adesso cinque persone, “freelance che si occupano di scouting, di marketing, di organizzazione eventi e di camp,” e soprattutto di giocatori, in numero sempre maggiore.“
Oggi ho la procura di una cinquantina tra atleti e allenatori,” ricorda, “che in prevalenza militano e lavorano nel campionato giapponese. Il Giappone è un mercato dove ho più clienti e almeno una volta all’anno vado lì. Ma anche il mercato asiatico in generale mi sta portando molti contatti.
Al momento non ho atleti che militano in Italia ma in passato ho portato a Ravenna Emanuel Holloway, a Imola Jesse Perry e alla Virtus Bologna Abdul Gabby, e alcuni giocatori a Trapani, Capo d’Orlando e Cremona.
Come si cresce nel numero delle procure? Soprattutto con il passaparola. Un cliente, cioè una squadra o un dirigente sportivo, che lavora con me da diversi anni, mi presenta o mi raccomanda un giocatore, non necessariamente proveniente dal college che resta comunque il principale bacino di selezione e reclutamento.
Il resto proviene dagli scout che lavorano con me, già introdotti in alcune scuole.” Nell’agenzia di Debora Zoli non ci sono donne oltre a lei. “Nel mondo ci sono circa 700 agenti internazionali certificati,” specifica. “Di questi solo una trentina o poco più sono donne ma la maggior parte lavora nel settore femminile.
Io sono tra le poche procuratrici a gestire solo giocatori. Di sicuro sono l’unica emiliano-romagnola che fa questo tipo di lavoro. E questo rende ancora più grande la mia gioia di essere riuscita ad arrivare dove volevo.”
Long Beach non è solo il centro nevralgico della vita di Debora, che vive lì da 9 anni. Quello è anche il posto in cui ha conosciuto suo marito: “Si chiama Daniel e non c’entra nulla con lo sport. Ci siamo conosciuti in un caffè italiano qui a Long Beach ma non è stato un colpo di fulmine. Abbiamo incrociato lo
sguardo più volte, non c’è stata fretta. Lui ha saputo fin da subito il lavoro che svolgo, ma ha accettato tutto.” L’unico viaggio che lei fa con Daniel è quando torna in Italia, nella natia Romagna che le resta sempre nel cuore.
“Viene con me così gli faccio conoscere il nostro meraviglioso Paese,” racconta ancora. “Ogni volta che posso torno a Faenza: lì mi aspettano i miei nonni, i miei genitori e quattro Jack Russell. È vero, casa dolce casa ma non sento nostalgia o mancanza a parte ovviamente i miei familiari. A Long Beach mi mancano sicuramente il cibo di casa nostra e i nostri ingredienti tipici però quando ci si abitua a Long Beach, al suo clima che vizia, dopo un po’ che ci si allontana si sente il bisogno di tornare.”