Questo libro nasce anche dalla sua esperienza. “Tutto è partito prima della laurea,” racconta Laura. “Il mio compagno Marco ed io vivevamo a Bologna e avevamo affittato un orto dal Comune. Lì abbiamo approcciato il lavoro della terra per la prima volta.
Facevamo parte di Campi Aperti, un’associazione di giovani contadini che propugna l’agricoltura biologica e la filiera corta. Proprio tra noi in quel periodo si era soliti dire: ‘Piuttosto che vivere da precari meglio coltivare la terra.’ Questi sono stati gli inizi.”
Da Bologna sei poi tornata a casa.
“Mentre stavo scrivendo la tesi, sono venuta via da Bologna per coltivare un piccolo appezzamento di proprietà di mio nonno a San Clemente. È stato in quel momento che ho aperto l’azienda agricola a mio nome.
Il terreno, che non era mai stato coltivato perché mio nonno faceva un altro mestiere, era piccolissimo: solo 3.000 mq coltivabili. Troppo pochi per viverci. Così, ho affittato altri appezzamenti fino ad arrivare a 3 ettari e mezzo. Avevo un’attività molto diversificata: olivi, vigna e orto.”
Nel libro ti definisci una neorurale cioè una contadina di prima generazione, senza una famiglia di agricoltori alle spalle.
“Sono una neorurale ma il libro non parla della mia esperienza, quanto di quella di altre giovani contadine neorurali: donne che si sono dovute ‘formare’ per fare agricoltura; per imparare una professione difficile nella quale bisogna osservare, sperimentare e capire cosa coltivare. Il libro è un’inchiesta sociologica su di loro.”
Cosa hai trovato di buono e di sbagliato nel mondo dell’agricoltura?
“Di buono, il recupero della relazione con la terra che la mia generazione ha perso. Vale a dire con i ritmi della natura e la stagionalità dei prodotti. Di negativo, il fatto che l’agricoltura è un mondo ‘vecchio’ e questo rende difficile la relazione con gli agricoltori anziani legati a un’idea di agricoltura antica.
Ci sono pregiudizi nei confronti delle donne: si pensa non siano in grado di gestire in autonomia l’azienda. Io sono stata capoazienda e questo ha comportato avere rapporti da mantenere, il marketing da curare, i social da attivare… cose che non sono capite dagli anziani.
Poi il mancato accesso alla terra: chi inizia da zero prende in affitto terreni semi abbandonati perché non ne trova di migliori. Gli sono preclusi se non ha una grande capacità economica. Fondi economici per giovani non proprietari o non affittuari non esistono.”
Com’è nata la pagina Facebook Essere contadine, storie di giovani donne in agricoltura, anticipatrice del libro?
“Chiusi l’azienda alla fine del 2017 perché nell’estate di quell’anno ci fu la prima grossa siccità e capii che bisognava fare altri investimenti che non potevo permettermi.
La pagina nacque nei primi mesi del 2018 perché in varie assemblee di Genuino Clandestino, una comunità che propugna la sovranità alimentare, avevo incontrato una ragazza che, come me, aveva studiato a Bologna e aveva aperto un’azienda agricola.
Da quegli incontri nacque l’idea di scrivere un libro sulle difficoltà che può avere una giovane donna in questo settore.”
Si può dire che Contadine si diventa è un libro di denuncia?
“È un libro che vuole far uscire le donne agricoltrici dall’invisibilità. Ho voluto dimostrare che sanno essere capoazienda, gestire il lavoro di altri, guidare il trattore… Senza banalizzarne il racconto.”