Elisabetta Gulli Grigioni si è laureata in filosofia e storia, con una tesi sullo strutturalismo. Si è poi trasformata in studiosa, artista, collezionista, approfondendo ogni tema trattato con una bibliografia completa, bastando così a se stessa, alla sua sete di cultura, di curiosità.
Ma la sua parte meno conosciuta e sicuramente più straordinaria è la creazione di libri unici e preziose opere d’artista. Ricamando a mano le pagine di una carta speciale e componendole con l’inserimento di immagini ed elementi antichi, tessuti rari, piccole pietre e simboli, tra cui la sua ‘orma’. Una sorta di firma, presente anche nella rappresentazione del Lauro Dantesco ad Honorem, conferitole nel 2014.
Una narrazione che non rinuncia mai a un tocco di umorismo e a percorsi trasversali, a volte sorprendenti e ludici, che l’hanno portata a ispirarsi perfino a Keith Haring.
D. Elisabetta Gulli Grigioni, qual è stato il suo primo pezzo?
R. “Una spilla della seconda metà del Settecento che rappresentava un cuore con dentro un moretto veneziano. Quando ho visto che la freccia europea era stata sostituita dalla scimitarra e la fiamma da una stella ho pensato che cambiando un elemento tutta l’immagine si trasformava, per cui ho iniziato a vedere l’oggetto come un sistema di segnali simbolici.
Avevo poi chiamato questo ornamento Belcore, titolo con cui Dante Gabriel Rossetti nel 1873 aveva ribattezzato il suo dipinto Monna Vanna, dove la protagonista porta al collo un pendente a forma di cuore. Il simbolo è una cosa indefinibile. Infatti, Tillich diceva che ‘i simboli non sono sassi caduti dal cielo’ indicando così quale area culturale mobile esista nell’iconografia simbolica.”
D. Il suo percorso di ricerca di questo sistema simbolico è più istintivo o razionale?
R. “Entrambe le cose. Mi piace molto il riconoscimento di una realtà istintuale. Perché quando si trova un simbolo si crea una forma di partecipazione emotiva alla realtà talmente soddisfacente che penso che solo in questo caso si possa usare la parola collezionismo.
Nella mia ricerca non ho mai seguito un percorso regolare, ho sempre avuto una mentalità scolastica e su un determinato oggetto ho avuto bisogno di sapere tutto ciò che era stato detto e scritto prima. Per cui per me il collezionismo è stato un arricchimento soprattutto culturale.”
D. C’è un episodio particolare che ci vuole raccontare?
R. “A un mercato antiquario in Toscana ho perso la testa per un gruppo in alabastro di due putti di metà Ottocento in lotta per un cuore. Mio marito mi aveva scoraggiata dall’acquistarlo ma dentro di me mi ero detta: ‘domani mattina vado a comprarlo’. Incredibile, il giorno dopo al mercato antiquario di Ravenna c’era anche l’antiquario che esponeva quella scultura.
Non sapevo da dove venisse. E poi sulla rivista AD ho trovato per caso il quadro del 1841 di Ferdinand Georg Waldmüller Giovani donne che leggono una lettera, in cui viene rappresentata questa scultura Bataille d’amour ispirata all’opera di Etienne Maurice Falconet.”
D. Nella Vita Nova, Dante racconta un sogno in cui Amore dà in pasto a Beatrice il suo cuore. Che cosa significa per lei vivere a Ravenna, teatro di tante passioni?
R. “C’è una certa predestinazione perché mi piace il pathos che si respira in questa città. Appena arrivata a Ravenna, negli anni Settanta, mi sono imbattuta subito in Byron, immerso nella sua magia, nei suoi incontri e su di lui ho letto tutto ciò che era possibile.
Se sono invece ritornata su Dante è per via del cuore, mentre è ambientata nella Pineta di Ravenna la novella del Boccaccio rappresentata dal Botticelli nel ciclo di opere Nastagio degli Onesti esposto al Prado. A una fanciulla rincorsa e sbranata dai cani lo sposo rifiutato estrae il cuore dalla schiena, un’immagine per me enigmatica. E poi Paolo e Francesca… Nel Museo Diocesano è conservata perfino la più antica lirica d’amore. Ravenna ha quindi una vera e propria cultura del rapporto amoroso.”
D. Lei è soprattutto un’artista che crea opere uniche, ricamando e scrivendo su carta. Ci può parlare di questa sua attività?
R. “Ora sto lavorando a una storia sui gatti e devo ultimare la trilogia della mia autobiografia scritta sotto forma di fiaba: dopo Cuoribonda e Invereconda, già pubblicate, manca solo Cerebronda. Nelle mie opere unisco sempre forme primitive e liberatorie e tutti i collegamenti col cuore si presentano quasi magicamente.
Gli occhi, ad esempio, fanno parte della antropomorfizzazione di questo organo interno che ha una vocazione di riepilogo di tutto il corpo umano. Ho sempre agito come una che va a cavallo e non sa dove deve andare ma sa che va, prende e porta…”