La cura dei particolari, la ricerca delle fonti, il racconto intenso e profondo dell’artista protagonista, sono alla base del lavoro di Giovanni Piscaglia, attento e meticoloso osservatore. E coinvolgono lo spettatore proponendo una prospettiva sempre diversa e affascinante.
Da Van Gogh. Tra il grano e il cielo a Napoleone. Nel nome dell’arte e Perugino. Rinascimento immortale, fino agli interessanti lavori all’interno delle Gallerie d’arte più prestigiose per Sky Arte (tra cui la Galleria Borghese, le due Nazionali dell’Umbria e delle Marche, gli Uffizi, il Museo Archeologico di Napoli, la Reggia di Caserta e la Pinacoteca di Brera). Ogni viaggio nell’arte realizzato da Giovanni Piscaglia è sempre una piacevole e stimolante scoperta.
“Quando si inizia l’approccio a un personaggio, ci sono sempre delle cose che colpiscono la mia attenzione, più di altre. Elementi che hanno una portata visiva o narrativa che escono dal semplice quadro o documento,” racconta Giovanni Piscaglia. “È quasi come una ricerca di indizi in una indagine di polizia,” commenta sorridendo. “Indizi che costruiscono la linea temporale e narrativa. E piano piano le immagini e i pensieri che ho in mente, rispetto alla vita e all’operato di un artista, finiscono per unire i vari punti sparsi nella storia.
Il mio lavoro è anche quello di riempire quegli spazi che i documenti non ci danno. Soprattutto per autori molto antichi e quasi sconosciuti, come Perugino.” Prima di essere un personaggio, un artista è sempre una persona “e io cerco di capire l’interiorità di quella persona. E di restituirla a mio modo. Certo, potrei documentare in modo più asettico ciò che emerge dalle fonti. Ma un film, a mio parere, deve avere una comunicazione più profonda, che abbia a che fare con le immagini e le atmosfere di un racconto organico.”
Tra i due pittori, quello su Napoleone è forse il suo lavoro più singolare. “Ovviamente su di lui esistono biografie infinite, quindi ho dovuto scegliere alcuni temi particolarmente inerenti al suo rapporto con l’arte. Non era dunque il fine principale fare emergere la sua figura.”
Molto più profondo il percorso fatto per Van Gogh e Perugino. “Per me le opere d’arte sono oggetti che hanno un portato fortemente medianico,” dice. “Quello che ci rimane è un lavoro mosso da una mano, un pensiero, un’interiorità. Irripetibile. Molto diverso dal guardare un qualsiasi oggetto non realizzato fisicamente da qualcuno. Questo ci porta a ‘toccare’ ed esplorare qualcosa in più rispetto a un semplice lascito: sono, appunto, oggetti medianici.”
Parlare di artisti vissuti in altre epoche comporta anche raccontare “un vissuto spesso difficile. Con il problema di sopravvivere al mondo terreno con la loro arte. Quindi ognuna di quelle opere ha una voce che ci chiama, che ci invita ad ascoltarle.” Uno dei motivi che spinge Giovanni Piscaglia a scendere così profondamente nelle pieghe dell’arte “è quel mistero ineffabile del pensiero del passaggio nel mondo di una persona di cui non possiamo più ascoltare la voce, ma solo vedere ciò che fisicamente ha fatto.”
Ed è qui che scatta anche la sensibilità del suo sguardo. “Il mio approccio nasce sempre dallo studio,” spiega. “Evito di appiccicare idee e modi di fare preconfezionati. Mentre studio i personaggi cerco di farmi un’idea precisa, anche se mia, di cosa e come raccontarli. Se a volte creo immagini più complesse, di cui non sempre lo spettatore ha reale percezione, lo faccio in maniera subordinata rispetto all’importanza del contenuto. Cerco sempre di non mettermi davanti al protagonista.”
Scelte impercettibili forse, ma che possono rivoluzionare il sistema narrativo, come per il Perugino, “dove i giornalisti si sono molto focalizzati sul personaggio, quasi sconosciuto. Ciò che ho fatto io è stato creare un taglio che nessun documento in particolare suggeriva, ovvero scegliere il Vasari come alter-ego per raccontarlo.”