Così Gualtiero Gori riassume oltre 40 anni di ricerca e divulgazione della tradizione di Romagna e in questa intervista ci permette di capire come il passato possa essere una chiave per interpretare il presente e vivere con nuove prospettive il futuro.
D. Gualtiero Gori, come nasce l’interesse per la tradizione?
R. “Tradizione è memoria. Dei ragionamenti in dialetto dei nonni. Di mamma magliaia che canta lavorando. Di un anziano che fa vibrare come un violino l’erba fra le labbra. La teatralità dei canti dei pescatori che fanno baldoria.
Nel 1973 vidi uno spettacolo sulla Romagna, in cui si intrecciavano canti popolari e documenti storici. Un modo di cantare lontano dalla musica che ascoltavo. Suggestioni folk apparivano nelle esperienze di gruppi anglosassoni e francesi. Nel country stilemi tradizionali si univano a pop e rock. Cominciai a chiedermi se in Romagna ci fossero musiche popolari antiche e sentii un vuoto da colmare.”
D. Perché ‘L’Uva Grisa’?
R. “L’Uva Grisa, gruppo di musica etnica e tradizionale della Romagna, nasce a Bellaria nel 1981. Ci interessavano le musiche, i canti, le storie di vita e i racconti, episodi burleschi, ma anche gli aspetti ritualistici, gli spazi e le forme di socialità e comunicazione.
Sentivamo di dover ricucire lo strappo generazionale determinato della contestazione giovanile. Iniziammo così a registrare i canti dei pescatori bellariesi. Poi Maria Benedetti, nata a Santa Giustina, a 77 anni entra nel gruppo, portando stornelli e ballate vecchie di secoli. Il violinista di Torre Pedrera, Mario Venturelli, sarà fondamentale per la riscoperta del liscio d’inizio 900. Norma Midani, viserbese nata a Cremona, con i suoi laboratori ha dato vita a ‘Cantrici’ il nuovo gruppo di canto polifonico femminile, tradizionale della pianura padana.
Con Giuseppe Michele Gala, etnocoreologo e antropologo della danza, ho intrapreso una ricerca per raccogliere in Romagna le tracce di saltarelli, furlane, monferrine, balli che si credevano perduti e che invece oggi vivono ancora. Parte di queste esperienze è raccolta in libri, i cui titoli si trovano sul sito del gruppo. Studiamo ancora il materiale raccolto, mentre giovani come Thomas Bertuccioli, continuano le ricerche nel Montefeltro.”
D. Secondo lei, Gualtiero Gori, come vivono la musica popolare i giovani?
R. “Direi con una certa continuità motivazionale. Irene, coordinatrice di “Venolta – Festival dei balli e delle musiche popolari di confine – mi ha spiegato il perché della partecipazione di tanti giovani. Quelli come lei, che hanno deciso di rimanere in Alta Valmarecchia, hanno amici sparsi nel mondo, ma a casa cercano riferimenti e legami forti.
Il festival, che nasce per ritrovare le radici, fare comunità, creare situazioni intergenerazionali per le persone del territorio, mettendo al centro i più anziani, permette di immaginare nuovi modi di stare in paese. Lucia, fisarmonicista, è affascinata dal legame tra musica di una volta e ballo. Balli in cui ci si intreccia, ci si conosce e diverte. In discoteca si balla in sostanza soli. Sente il peso della frenesia contemporanea, riconosce nella musica del passato la convivialità, la forza della condivisione, della comunità, che si è persa. A Faenza dove vive, dal 2016 ogni martedì il gruppo spontaneo ‘musicanti improvvisi’ suona a ballo in piazza.”
D. Il Natale preannuncia la Pasquella, cos’è?
R. “La Pasquella, Pasquèla, è un canto di questua del ciclo Natale-Epifania, presente in molte regioni italiane ed europee. Il canto, che unisce temi sacri come la Natività, l’adorazione dei Magi, con espressioni tipiche del Carnevale, inizia la sera di vigilia dell’Epifania e si protrae per tutto il 6 gennaio.
I Pasquarùl, o Pasqualót, portano il canto augurale nelle case, ricevendo doni. Un’usanza con radici profonde che non si è estinta nonostante il forte declino dal dopoguerra. La Pasquella porta ad entrare in casa di sconosciuti, richiede rispetto, crea un legame tra le persone.