Luca Nardi, più che nel presente, è proiettato verso il futuro. Un sorriso candido che conquista, un giovane tennista di 19 anni.
Lesson number one: trarre insegnamenti da tutto quello che accade. Come arrivare ai Masters 1000 di Monte-Carlo, stendere Vacherot e poi mettersi la cartella sottobraccio dopo la lezione ricevuta da Lorenzo Musetti.
“Alla vigilia della prima partita sul campo centrale di un torneo così prestigioso, mi sentivo euforico. Un misto tra soddisfazione e felicità per essermi regalato la possibilità di giocare un torneo così importante.” E siccome sbagliando si impara: “Oggi sicuramente mi sento più consapevole dei miei mezzi e con tanta voglia di migliorare il mio gioco e le mie prestazioni.”
Ogni volta che torna a Pesaro, Luca Nardi è facile da individuare. È alla Baratoff, la sua seconda dimora, ad allenarsi, a parlare di tennis, a studiare colpi e ripetere, ripetere gesti che devono diventare automatici. “La Baratoff la considero come una seconda casa, ci sono cresciuto tennisticamente parlando, sarà sempre un posto speciale per me.”
C’è chi inizia a pronunciare il nome di Luca Nardi sempre più con interesse e orgoglio. Se però lo si stuzzica affiancando il suo nome a campioni pesaresi come Ambrosini, Valentino Rossi e Magnini, solo per citare i più recenti, non si fa prendere in contropiede. “Non posso ovviamente paragonarmi ai grandi sportivi pesaresi. Cercherò di fare del mio meglio e vedremo in futuro se potrò dirà la mia!” Sorride e già emana simpatia.
Ma in una città di motori e di mare, come si finisce sulla terra rossa? “Ho iniziato a giocare a tennis perché lo praticava mio fratello, io andavo con mia mamma al circolo per vedere i suoi allenamenti e mi sono appassionato.” Ha osservato molto bene Luca, ha studiato tutti i dettagli e nel giro di poco tempo, e poco più che bambino, ha messo in riga mamma, papà e fratellone.
Però certi successi hanno un prezzo, specialmente se riguardano un ragazzino: “Sinceramente il sacrificio più grande [e mentre dice ‘sacrificio’ mima le virgolette con le dita, quasi a schermirsi di una parola così importante, NdA] è il fatto che passo tantissimo tempo lontano da casa ed essendo molto legato alla mia famiglia a volte sento la loro mancanza.”
Un po’ di solitudine tra viaggi ad alta quota e stanze d’albergo dove mancano le battute, le risate e le sicurezze di una famiglia affiatata. “Per me la mia famiglia è molto importante; nella vita di uno sportivo le persone a te care e che ti vogliono bene sono un punto di riferimento insostituibile, soprattutto quando attraversi periodi dove le cose, agonisticamente parlando, vanno meno bene del dovuto.”
Però non è solo la lontananza; il sacrificio per uno come Luca diventa uno stile di vita. “Sicuramente ho scelto un tipo di vita diversissimo dai miei amici e coetanei, spesso e volentieri mi piacerebbe essere a casa e poter fare cose normali, come andare a mangiare una pizza con gli amici. Ho preso invece la decisione di fare il tennista e ho sempre saputo cosa avrebbe comportato. Comunque il tennis è la mia passione quindi le rinunce non mi pesano così tanto.”
A questo 2023 Luca chiede di portarlo tra i primi 100 giocatori del mondo; ma cosa riserva il futuro? “Sogno di poter vincere un torneo del Grande Slam [nel tennis, è la vittoria, nello stesso anno, dei quattro tornei più importanti al mondo, NdR.] e di ottimizzare al massimo le mie capacità e di conseguenza fare la miglior carriera possibile.”
Un grande obiettivo, in cui è racchiuso anche il segreto per fare di una passione una professione. “Se vuoi rendere la tua passione il tuo lavoro,” spiega, “sicuramente devi metterci tanta umiltà e infinita dedizione. Il talento non basta, purtroppo.”
Se gli si chiede di raccontarsi in poche parole, Luca Nardi si descrive così: “Mi considero un ragazzo molto tranquillo, non mi piace stare al centro dell’attenzione e talvolta cerco anche di sminuirmi per essere più a mio agio.”
Ma quanto pesano le aspettative su un giovane atleta? E se non ci fosse stato il tennis? “Il tennis è la mia vita, non potrei immaginarmi senza, è il motivo per cui mi alzo la mattina. Non sento molto la pressione delle altre persone, ognuno ha i propri tempi e penso che se un atleta lavora in un certo modo e con una certa costanza, i risultati prima o poi arrivano.
Cerco di ripetermi questa cosa costantemente, per non sentire la pressione esterna. Il mio campione di riferimento? Fin da piccolino ho sempre guardato Novak Djokovic come il mio idolo. La mia sfida per eccellenza rimarrà però per sempre quella con mio fratello. Adesso ha smesso di giocare, ma tuttora ci stuzzichiamo a vicenda su chi vincerebbe la partita, è una cosa molto bella.” Prima dei match, Luca ama ascoltare la musica perché lo aiuta ad attivarsi, ma nessun gesto scaramantico o rituale pre-partita: “Nessuna fissa per fortuna, non sono superstizioso.”
Parlando infine del capitolo social: “Non sono un ragazzo che usa molto i social. Come ho detto prima non mi piace essere al centro dell’attenzione e quindi tendo a condividere poco di quello che faccio.”