“Sono molto orgoglioso del premio,” afferma Matteo Farinelli. “I millefiori hanno delle straordinarie specificità che, troppo spesso, vengono sottovalutate in favore dei più noti mieli monofloreali. In Italia abbiamo un consumo opposto a quello del Nord Europa, con una prevalenza dei mieli chiari, tipo acacia, rispetto a quelli scuri, i millefiori appunto.
In più, almeno per ora, non abbiamo un’etichettature stringente sul millefiori, in grado di dare ai consumatori le giuste informazioni. Ma è arrivato il momento di cambiare direzione.” Secondo Farinelli la preferenza dei mieli monofloreali in Italia è legata al loro aspetto liquido. E, quindi, alla minore propensione alla cristallizzazione.
Eppure quest’ultimo è un processo che ne testimonia la qualità, la minor presenza di acqua e fruttosio. “La gente vuole il miele liquido per una questione di comodità, per metterlo nelle bevande,” spiega Matteo Farinelli. “Questa è la vera ragione per cui il millefiori è di nicchia. C’è poi un altro luogo comune da abbattere: quello secondo cui il millefiori sia un miele tutto uguale, mentre al contrario può avere diversi colori e aromi perché dentro ha tanti pollini diversi a seconda che sia fatto in collina oppure in pianura.”
Dopo la laurea in Scienze e tecnologie forestali e ambientali all’università di Bologna e un periodo di formazione nel settore, Matteo Farinelli ha aperto la società agricola Granfavo nel 2013, insieme al compagno di studi e socio Stefano Malagotti. Hanno iniziato con circa cento alveari, approfittando anche di un contributo per giovani interessati a progetti legati all’agricoltura.
Nel tempo l’attività è cresciuta sino ad arrivare agli attuali 300 alveari che, forse, avrebbero potuto anche essere il doppio se Malagotti non fosse deceduto all’improvviso a soli 35 anni nel 2020, a causa di un incidente. Insieme hanno fatto in tempo però a vincere nel 2015, con il loro miele, il premio ‘Due gocce’ del prestigioso concorso Grandi Mieli d’Italia. “A causa del cambiamento climatico,” racconta Matteo Farinelli, “già a partire dal 2018, la produzione del miele è calata del 70%. Con evidenti difficoltà a soddisfare il fabbisogno nazionale.
Le frequenti gelate primaverili infatti impediscono la seconda fioritura dell’acacia, del tiglio e di altre piante. Un altro problema è stato poi l’arrivo sul mercato europeo di miele dalla Cina a 1,50 euro al chilo all’ingrosso, che nulla ha a che vedere con il nostro miele in quanto altro non è che una sofisticazione frutto di allevamenti forzati degli alveari. Una concorrenza sleale.”
Per questo c’è molta attesa per il voto della Commissione europea di una legge, su invito di Miele in Cooperativa, che obbliga a scrivere la provenienza del miele e le percentuali. Non è possibile infatti, secondo i promotori, che un miele estero al 90% ma miscelato in Italia possa ‘passare’ come italiano. Come si può difendere il consumatore? Acquistando da produttori locali che sono obbligati a fare analisi in laboratorio sui lotti di miele in vendita.
“Noi apicoltori ci mettiamo la faccia e se si ha un problema, si sa dove andare. Siamo garanzia di qualità,” commenta Matteo Farinelli. Uno sguardo ai prezzi. Il miele di acacia è il più ricercato e anche il più costoso, 18-20 euro al chilo, gli altri intorno ai 15 euro al chilo.