Tra queste anche Mauro Riceci, uno dei volontari che dal 2020 hanno reso fruibili più di 60 chilometri di sentieri che si snodano in Valconca. Tra Morciano di Romagna, Montefiore Conca, Mondaino, Saludecio e Gemmano.
“Nasce tutto dal desiderio di conoscere il territorio,” racconta Mauro Riceci. “Vivendolo in modo profondo, al proprio passo.” L’esperienza del Covid ci ha fatto ritrovare il gusto di camminare nella natura. Non solo un modo ‘sicuro’ per stare insieme ma uno spazio per vivere la socialità in maniera più semplice e genuina.
“Il gruppo si è formato, per camminare, con Carlo Millo, Italo Berardi, Gianluca Alessandrini, Yari Sanchi e Cristiano Querzè. Abbiamo poi deciso di entrare nel CAI, il Club Alpino Italiano. L’amicizia, la passione, l’amore per la natura. Trovare persone con gli stessi nostri desideri. Tutto questo ha fatto scattare la molla.
Con una carta CAI del 2009, coordinati da Renzo Tonini, responsabile provinciale CAI della sentieristica, siamo tornati sul territorio per aprire i sentieri e ripristinare la segnaletica. Anche tracciati completamente abbandonati, entrando dopo tempo in porzioni di territorio che sembravano dimenticate. I sentieri vivono solo se sono vissuti.”
Quali sono state le difficoltà e quali le soddisfazioni? “Difficoltà oggettive non ne abbiamo incontrate,” dice Mauro Riceci. “Quando si fanno le cose per passione e con amici è tutto più semplice. Siamo volontari e inizialmente ci siamo autofinanziati. Il tam tam sui social ha fatto in modo che la Provincia di Rimini venisse a conoscenza di quanto stavamo facendo.
Così ci ha sostenuti con un contributo destinato alle associazioni per la manutenzione dei sentieri che ci ha permesso di continuare. Per me la soddisfazione maggiore è la riconoscenza delle persone, il loro interesse. Il fatto che chiedano le mappe che abbiamo stampato: siamo già a tre edizioni.”
Qual è l’ultimo percorso aperto? “Un anello di circa 13 chilometri che si sviluppa attorno a Morciano. Tra il Parco seminaturale del Conca e il Ventena di Saludecio. È stato realizzato contemporaneamente a quello che porta alla Big Bench #310 Montefiore – Valle del Conca che si inserisce nel circuito europeo ‘Big Bench Community Project’. Un mio sogno, condiviso con Italo Berardi e Silvia Pangrazi, diventato realtà in agosto. Già tanti l’hanno visitata, come speravamo si è attivato un sano interesse che sta facendo scoprire e vivere il territorio a chi difficilmente lo avrebbe fatto.”
Cosa vi immaginate per il futuro? “Il futuro per sua natura è incerto, possiamo sperare di continuare in armonia, consapevoli che dobbiamo coltivare l’interesse di chi, in futuro, possa continuare quello che abbiamo iniziato.”
Quale potrebbe essere il futuro di un’iniziativa come questa? Lo abbiamo chiesto a Fabio Forlani, professore associato di Economia e Gestione delle Imprese dell’Università degli Studi di Perugia. Docente di Hospitality Management e Marketing del Turismo. Autore di più di 50 pubblicazioni, ha raccolto i risultati della ricerca condotta con Simone Splendiani nel volume edito recentemente da Franco Angeli, Il Turismo dei cammini per la valorizzazione delle destinazioni italiane.
“Il recupero dei sentieri della Valconca si inserisce nel contesto dello slow tourism, il turismo lento di camminatori, cicloturisti e ippoturisti. È un fenomeno ampio,” spiega il professore, “relativamente recente, in rapida crescita nei numeri e per l’interesse scientifico. Si caratterizza nel vivere in maniera lenta il territorio e le comunità ospitanti. In questo quadro, quello che sta accadendo in Valconca è interessante perché rende utilizzabile il territorio per le diverse esperienze, a patto che vengano colte determinate opportunità.”
Nel turismo slow il turista si muove lungo itinerari, attraverso i luoghi. “Un sentiero diventa un investimento valido nel momento in cui si connette a cammini che hanno punto di arrivo e destinazione distanti. Eclatante è sicuramente il Cammino di Santiago, in Italia possiamo citare la via Francigena, o quella di Francesco, ma anche il circuito delle Big Bench. Il turismo lento,” prosegue, “è fatto da piccoli numeri ed è tendenzialmente sobrio, alla ricerca di autenticità, identità e rapporti personali. Oltre a ciò, offre almeno tre opportunità a territori rurali o marginali: incentiva la microeconomia locale, il camminatore vive e consuma sul luogo, i turisti che acquistano in una bottega o in un bar di un paesino possono permettere all’esercizio di rimanere in vita anche per la comunità locale.”
“L’aprirsi della comunità al turista,” conclude il professor Forlani “riattiva le relazioni interne, con significativi benefici dal punto di vista sociale. Anche l’ambiente migliora grazie al recupero e alla manutenzione del territorio.
(continua…)