“Il percorso col quale si è giunti al restauro dell’oratorio,” racconta Cameliani, “ha davvero qualcosa di fuori dal comune. Un piccolo edificio, seminascosto da uno svincolo stradale, fatiscente, ma che manteneva una radicata identità, una memoria diffusa nei cittadini.
Anche io da piccolo frequentavo l’Oratorio e accompagnavo mio nonno alle funzioni. Poi ho cambiato abitazione ma ogni volta che vi passavo davanti con la bicicletta e ne vedevo il degrado pensavo che dovevo fare qualcosa. Era evidentemente un pensiero comune a tanti perché mi venne presentata una raccolta di firme, quindi pensai che era giunto il momento di agire. Bisognava prima di tutto avere l’autorizzazione dell’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia e poi un preventivo.”
Il progetto per l’Oratorio
Cameliani, grazie anche all’attenzione e all’impegno dell’Arcidiocesi, avviò una raccolta di disponibilità per la realizzazione gratuita di opere, donazioni di materiali, raccolta fondi (oggi si dice crowfunding) per le risorse necessarie.
“Mi sono meravigliato,” continua, “nel vedere che, mentre si concretizzava il progetto di restauro, un gruppo di imprese univa gratuitamente le proprie forze lavorando fianco a fianco, sotto la vigilanza della Soprintendenza e dell’architetto Paolo Focaccia.”
Pur essendo un piccolo monumento, era necessario tutelarne le caratteristiche visto che la sua costruzione risale al Settecento. Il committente fu il cardinale Gaetano Fantuzzi e il luogo individuato fu alle porte di Ravenna, sulla via Ravegnana, in prossimità del Ponte delle Assi.
La storia
Era l’anno 1766 e la consacrazione avvenne il 23 ottobre dello stesso anno. Le notizie che raccontano la storia dell’Oratorio ci dicono che era una pertinenza estiva delle suore Tavelle e che l’edificio era officiato dai monaci Cavaldolesi di Classe.
La lapide marmorea ancora in situ conferma la forma attuale ma manca una piccola pala d’altare che raffigurava la Fuga in Egitto del Bambino Gesù, Maria e San Giuseppe dipinto che dava, inizialmente, il nome all’Oratorio in quanto S. Giuseppe è il protettore della congregazione religiosa delle Tavelle.
Nel 1786 l’oratorio passò sotto la giurisdizione della parrocchia di San Rocco. In seguito, con l’arrivo delle truppe francesi, nel 1796, e con le conseguenti leggi di soppressione degli ordini religiosi del ‘98, le suore Tavelle dovettero abbandonare il loro convento cittadino e persero le loro proprietà, oratorio compreso.
Solo nel 1914, grazie a Teresa Fabbri in Donati Orioli, nuova proprietaria, il monumento venne restaurato e riaperto al pubblico con la nuova dedicazione alla Madonna del Rosario di Pompei. Si iniziò a celebrare la Santa Messa tutte le domeniche e la festività della protettrice, il 7 ottobre, e ancora la recita del Santo Rosario, tutto il mese di maggio.
Le ultime notizie sulla chiesina risalgono al 1994 quando scomparve Maria Luisa Berti che l’aveva mantenuta in maniera dignitosa negli ultimi anni. Non si hanno notizie certe, invece, sull’architetto che aveva progettato il piccolo monumento che oggi risplende nella veste rinnovata ed è aperta a nuovi eventi.
Una nuova vita
“Abbiamo pensato,” prosegue Cameliani, “di far vivere questo piccolo luogo suggestivo e, grazie a Giovanni Andrea Luisi, maestro d’organo e cardiologo all’ospedale di Ravenna, e numerosi musicisti, è stato messo a punto un programma di musica da camera e concertistica che è partito con grande successo il 30 aprile e proseguirà con gli appuntamenti fino al 15 ottobre.
Abbiamo ricevuto in donazione anche un organo dalle dimensioni compatibili con quelle dell’ambiente. Il ricavato delle offerte è destinato alla manutenzione.”
Certamente sono concerti molto raccolti, quasi intimi perché lo spazio è limitato. Infatti il piccolo oratorio è costituito da un semplice corpo rettangolare, con un corpo minore retrostante destinato a sacrestia. La pala d’altare attuale rappresenta la Madonna del Rosario di Pompei.