L’opera (acrilico su tavola, 2017-2020) fa parte del corpus dell’ultimissima e densa produzione dell’artista pesarese: è stato realizzato per la mostra Oscar Piattella. Disgregazione ed unità. Solcando la misura rinascimentale di Urbino ospitata al Centro Arti Visive Pescheria nel 2020, che illustrava il suo percorso pittorico dal 1955 a oggi.
Per forma, dimensioni e progetto esecutivo, l’opera è un chiaro riferimento e omaggio alla pala Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini, capolavoro iconico delle collezioni dei Musei Civici caratterizzato da un prodigioso naturalismo e da un nuovo equilibrio tra linea, volume, colore e luce.
“Un atto di rara sensibilità da parte di un’amministrazione comunale”, ha commentato il critico d’arte Alberto Mazzacchera, “un passaggio che rafforza la Capitale della Cultura 2024 e anche un omaggio a quello straordinario gruppo di artisti – Pomodoro, Valentini, Vangi e Sguanci – che insieme a Oscar Piattella contrassegnarono, negli anni ’60 e ’70, un momento particolarmente felice e fecondo per Pesaro.”
Per l’artista è stato un momento di grande commozione, anche per il contatto con i suoi concittadini: “Mi sento meglio qui che se fossi ospite, con la mia opera, al Metropolitan di New York o all’Ermitage di San Pietroburgo, perché così è se si ama quel frammento di terra che ha nutrito la nostra adolescenza e formato la nostra visione del mondo”.
Piattella si sente appartenere anche a Cantiano, dopo aver trascorso parecchie stagioni sotto il monte Catria, “che continua a condizionare la mia pittura, come la montagna Sainte-Victoire ha condizionato la pittura di Cézanne. Sono questi i luoghi che ti fanno diventare, che ti fanno essere quegli stessi luoghi. Io sono il nostro mare, il nostro dolce e pallido mare, io sono il verde dei monti intorno a Cantiano, io non posso che essere quell’azzurro, quei boschi, quelle pietre”.
Umile e sincero, Piattella ha anche sottolineato come ispirarsi all’opera del Bellini sia stato “un atto di grande presunzione, per il quale chiedo umilmente perdono, anche se il rapporto con quell’immenso capolavoro si è limitato in parte alla considerazione, ma anche qui molto superficiale, dell’architettura lignea e poi all’estrema ricchezza e luminosità del colore.
Spero che questa mia fatica possa ancor più spingerci a frequentare il nostro museo per sostare silenziosamente di fronte a quel miracolo e sentire nell’intimo del nostro essere che qualcosa di inspiegabile sta avvenendo, fino a credere che forse è la folgorante bellezza che ci appare nella sua verità, che forse è il mistero della vita che si fa pittura, la sua verità che si fa bellezza e vita viva.”