Piazza Baracca, la porta della città

di Andrea Casadio, foto Massimo Fiorentini
Le origini E l’identità Centrale Ma incerta
A Ravenna, leggendo le cronache degli ultimi tempi, emerge forte la tentazione di applicare tale legge a piazza Baracca. Un luogo che l’espansione urbana degli ultimi decenni ha reso sempre più centrale, vera e propria porta di ingresso al ‘salotto buono’ cittadino. E che però, nonostante tutto, sembra non aver perso nel profondo i caratteri di quando era uno spazio mal definito al di là delle mura. Né campagna né città, ricettacolo di tutto ciò che di marginale gravitava, senza farne davvero parte, intorno al centro urbano.

Questa identità incerta di piazza Baracca si riflette anche in una storia avvolta dalla nebbia per diversi secoli. Sappiamo ben poco di come doveva presentarsi questa zona quando, in epoca romana, sulla linea dell’odierno viale Baracca eressero le mura che la separavano dalla città. Nel medioevo, oltre a porta Adriana vi si aprivano anche due varchi minori. Uno di questi denominato per un certo periodo con il nome, già di per sé eloquente, di porta dei Ladroni.

Un’immagine più precisa possiamo averla all’incirca dal Duecento. Quando condussero il Montone a scorrere lungo la direttrice delle attuali via Fiume Abbandonato (appunto) e circonvallazione San Gaetanino.

Per circa cinque secoli, dunque, l’area della piazza fu occupata dalla ‘terra di nessuno’ interposta fra le mura e il letto del fiume. Quando poi, verso il 1730, il suo corso fu deviato, rimase uno spazio aperto ancora più ampio. Che alla fine di quel secolo fu destinato a un uso pubblico all’epoca assai importante. Quello di Foro Boario, ossia di mercato del bestiame. 

Si trattava di una sorta di ampio viale, che andava dall’attuale via Oberdan a porta Adriana. E che sull’altro lato di via Maggiore (in sostanza, l’inizio dell’attuale via don Minzoni) era fronteggiato dallo speculare Foro Equino. Le fotografie di fine Ottocento e inizio Novecento ci trasmettono l’immagine di un ambiente quasi bucolico, con gli uomini e gli animali disseminati all’ombra di grandi pioppi.

A fare da sfondo all’estremità meridionale di piazza Baracca campeggiava il singolare profilo della chiesa di S. Bartolomeo, con le sue forme neoclassiche che richiamavano quasi le fattezze di un tempio romano. Edificata nel 1828, la chiesa ebbe vita breve, e già alla metà del secolo la sconsacrarono, adibendola a uso di conceria delle pelli, popolarmente nota come la Calgarì.

Nel Foro Boario si teneva il mercato del bestiame ogni sabato. Ma non si trattava dell’unico utilizzo cui era destinato quello che, in effetti, era uno spazio polifunzionale nel pieno senso del termine. Dal 1845, ad esempio, vi si tennero le esecuzioni capitali. E anzi fu proprio qui che venne eretta la ghigliottina per l’ultima volta nella storia ravennate, il 22 luglio 1868.

C’erano però anche usi meno macabri. Nei giorni liberi dal mercato vi erano ospitati i canapini con i loro macchinari per la fabbricazione dei cordami. E periodicamente vi piantavano le tende le compagnie di zingari che svolgevano il mestiere di stagnino. 

D’estate vi si teneva anche il mercato dei cocomeri, mentre nell’attiguo foro equino si svolgevano quelli dei suini, delle erbe, dell’uva. Col tempo, nei pressi di porta Adriana sorsero anche delle baracche stabili in legno, a uso di botteghe o di osterie, una delle quali destinata a diventare il celebre ristorante Scaì.

Entrambi i fori ospitavano inoltre giostre, teatri di burattini e vari spettacoli viaggianti, compresi i primi cinematografi. Nel 1908 aprirono proprio qui una delle prime sale cinematografiche stabili della città. Un capannone di legno in cui è forse da riconoscere il non meglio noto Eagle Cinematograph. La stampa cittadina ne magnificò l’inaugurazione, proprio in borgo S. Biagio, nello stesso anno.

Tale sarabanda di giostre, mercanti, zingari e teatranti doveva dare a questo luogo un tono liminale e bohémien. Finché, nel 1920, il trasferimento del mercato nei pressi della Madonna del Torrione (l’attuale piazza della Resistenza) segnò la fine del Foro Boario. Dando il via a una complessiva ridefinizione del suo spazio.

In primo luogo, l’abbattimento del tratto di mura fra porta Adriana e la conceria delle pelli comportò la creazione del nuovo viale Baracca. Con la contestuale apertura di un collegamento diretto con il centro storico. L’area di fronte alla conceria fu urbanizzata con la costruzione di nuove case da parte del Comune. Mentre la conceria stessa, davanti alla quale fu aperta la nuova via Oberdan, fu inglobata nello stabilimento della Callegari e Ghigi realizzato alle sue spalle. 

Un destino davvero singolare per la vecchia chiesa costruita un tempo in mezzo alla campagna. Che sopravvisse come un relitto fuori tempo per diversi decenni finché non decisero di abbatterla all’inizio degli anni Sessanta. 

Ciò che rimase del vecchio Foro Boario fu la piazza verso porta Adriana, intitolata appunto alla memoria di Francesco Baracca. Fu qui che le tracce del passato si perpetuarono più a lungo. Per esempio nel mercato che continuò per qualche tempo a esservi svolto. O nella presenza del cinema Moderno, edificato in forme liberty nel 1921 e poi ricostruito alla fine degli anni Cinquanta.

Una presenza che fu il principale filo di continuità nella storia di questo luogo per tutto il Novecento, fino a quando anch’esso dovette cedere il passo ai tempi nuovi e alla scomparsa delle vecchie sale del centro cittadino. 

Si narra che una sera dell’inverno 1960 lo stesso Federico Fellini, di passaggio in città insieme a Marcello Mastroianni, dopo avere cenato da Scaì fece quattro passi. Fino all’ingresso del cinema, dove campeggiavano i manifesti de La dolce vita, in proiezione proprio in quei giorni.

(continua…)

Piazza Baracca, la porta della città
In queste immagini, Piazza Baracca negli anni in cui ospitava il mercato e il Foro Boario, con il cinema ‘moderno’ ricostruito alla fine degli anni Cinquanta.
Piazza Baracca, la porta della città
Piazza Baracca, la porta della città
Se avesse saputo che un tempo quella era anche la piazza dei circhi e dei girovaghi, avrebbe senz’altro convenuto che il destino non avrebbe potuto scegliere un posto più ‘felliniano’ dove rendere omaggio al suo capolavoro nella città di Ravenna.
Piazza Baracca, la porta della città

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