Al tempo stesso, però, la natura degli edifici che circondano piazza Garibaldi, costituiti da edilizia istituzionale e di rappresentanza, fa sì che non goda di quel carattere di spazio pulsante di vita che ci si aspetterebbe da un luogo pubblico di questa importanza.
Del resto, anche se di primo acchito il passante distratto non se ne accorge. Piazza Garibaldi, come si presenta oggi, non è neppure il frutto di una lunga stratificazione storica. Se si eccettuano gli interventi fascisti della zona dantesca, è anzi la più recente fra quelle del centro storico. Cristallizzatasi nelle forme attuali da meno di un secolo. Al termine di una storia che, fra l’altro, resta in gran parte oscura.
In effetti, fino alla metà dell’Ottocento una vera e propria piazza in questo luogo neppure esisteva. Le fonti storiche, almeno dal Trecento, definiscono questo angolo della città con il termine di ‘Guasto’.
Con tutta probabilità, come per l’analogo esempio della via del Guasto di Bologna, il nome era il ricordo della demolizione di uno o più edifici avvenuta durante il Medioevo. Nel contesto delle lotte civili dell’epoca. Che appunto prevedevano anche la distruzione delle residenze delle famiglie sconfitte, col risultato di lasciare una sorta di ‘buco nero’ nel tessuto urbano.
La prima rappresentazione cartografica di questa zona risale solo al catasto di inizio Ottocento. Bisogna fare un certo sforzo di fantasia. Per immaginare il panorama che si presentava a chi, svoltato l’angolo del voltone della prefettura (il ‘volto Perelli’) si avviava verso la tomba di Dante.
Il primo tratto era una semplice strada. A destra era fiancheggiata dall’ala del palazzo del governo adibita a Tesoreria. A sinistra si allargava in uno spiazzo dalla forma irregolare, che poi si richiudeva prima che il percorso incrociasse la via del Seminario vecchio. Ossia l’attuale via Mariani.
Tale spiazzo era appunto il vecchio Guasto. Che però, a partire dal Cinquecento, aveva assunto il nome di piazzetta degli Svizzeri. Perché il governo pontificio vi aveva ricavato la caserma in cui era di stanza il corpo di guardia composto appunto da soldati di origine elvetica.
Su come questo spazio interagisse nella vita della città non ne sappiamo molto. Se non per frammenti riguardanti epoche relativamente recenti. Le cronache ci tramandano, ad esempio, che alla fine del Settecento fu spostato qui il campo di gioco del ‘pallone’. L’allora popolarissimo pallone a bracciale, le cui partite erano prima disputate in piazza del Popolo.
Pochi anni dopo, nel 1797, il regime ‘giacobino’ instaurato dall’invasione napoleonica vi innalzò un albero della libertà. Peraltro destinato a breve vita. Come macabro contrappasso, nel 1828 il governo pontificio scelse proprio questo posto. Per erigere le forche dei cinque condannati a morte dopo l’attentato al cardinale Rivarola di due anni prima.
Forse anche per cancellare il ricordo di questo episodio, pochi anni dopo il Comune decise di erigere proprio qui il nuovo teatro. La cui costruzione cominciò nel 1840 e terminò nel 1852. Il grande edificio andò a costituire il lato orientale del nuovo spazio così creato. Che si aprì anche sull’attuale via Mariani grazie alla contestuale demolizione delle case preesistenti.
Al posto della disordinata topografia precedente nacque dunque una vera e propria piazza. Più grande e più regolare, sostanzialmente rettangolare, che come il teatro fu dedicata a Dante Alighieri. I suoi lati maggiori erano il teatro stesso. E, sul fronte opposto, la Tesoreria, dallo stile architettonico che richiamava quello del palazzo governativo. Quelli minori erano costituiti dal caseggiato accanto alla torre dell’orologio, anch’esso parte del palazzo governativo, e da via Mariani.
Fra gli edifici che davano su quest’ultima, fin dal Medioevo sorgeva la chiesa di S. Giorgio ai portici, così chiamata perché su questa direttrice si snodava un tempo il lungo porticato che collegava il palazzo imperiale a quello arcivescovile. Officiata a lungo dai cavalieri dell’ordine di Malta, la chiesa venne soppressa in epoca napoleonica, nel 1802.
Non così la locanda che la fiancheggiava, pure denominata “all’insegna di S. Giorgio”, che alla metà dell’Ottocento ancora esisteva con il nome di locanda dei Tre Ferri. “Un lungo e basso fabbricato,” la descriveva decenni dopo uno degli ultimi testimoni oculari della sua esistenza, Guido Umberto Majoli. “A un solo piano oltre il pianterreno, che stava poi un gradino più giù della strada. Per i servizi… igienici, diciamo pure così, c’era un casotto unico in fondo al cortile.”
Uno scenario non esattamente monumentale, e soprattutto poco degno di stare a fianco del teatro e dell’ingresso alla tomba di Dante. La sua presenza era quindi una questione di risanamento urbano che divenne sempre più pressante nel corso dell’Ottocento. E che fu infine risolta nel 1895 con la costruzione, al suo posto, della nuova e lussuosa sede della Cassa di Risparmio. A questo punto, piazza Garibaldi aveva conseguito una sistemazione architettonica dignitosa in tutti i suoi lati.
La sua storia non era però ancora terminata, e negli ultimi passaggi si inoltrò ben dentro il Novecento. Le ultime modifiche a piazza Garibaldi furono infatti realizzate fra gli anni Venti e Trenta. Nel quadro della politica di invasivo intervento portata avanti dalle amministrazioni fasciste nel contesto urbano ravennate. La prima fu la costruzione, nel 1926, del nuovo palazzo delle Poste, dalle monumentali linee neobarocche, in luogo della vecchia Tesoreria.
La seconda, pochi anni dopo, fu la creazione della nuova piazzetta Corsica (oggi Einaudi) alle spalle del palazzo dell’orologio. Con la conseguente apertura del passaggio diretto verso via Diaz. La terza, forse visivamente quella più impattante, fu il trasferimento del monumento di Garibaldi dalla collocazione originaria in piazza Byron (l’attuale piazza S. Francesco), nel quadro del riordino complessivo della zona dantesca realizzato alla metà degli anni Trenta. (continua…)