Pittore santarcangiolese (1944-2022), Pino Boschetti fu Medaglia d’oro al premio nazionale Arti Naives di Luzzara nel 1983. Arcangelo d’oro 2016, a cui fino al 20 ottobre una mostra personale dal titolo Dipingere in dialetto, allestita al Museo Fellini all’interno del Palazzo del Fulgor di Rimini, rende omaggio.
Per l’occasione è stato pubblicato un cospicuo catalogo ricco di immagini fruibile anche dopo i termini della mostra. Tra i grandi lavori di Boschetti conosciuti ai più ve ne sono alcuni divenuti iconici manifesti di importanti eventi clementini. Come Teatro in piazza, 1978, Fiera di San Martino, 1979, o Sera d’estate, 1982.
Il percorso espositivo si articola in sei macro categorie. Scene di paese, maschere e circo, musica e ballo, preti e suore, motori e bici, bimbi. Per un totale di 92 opere ad olio e circa 30 disegni a matita. Dalla mostra emerge l’amore per la sua terra e per le persone che la abitano, sempre dipinte con uno sguardo bonario e ironico, mai sarcastico.
“La forza più grande di nostro padre era l’immensa fantasia supportata da una grande memoria fotografica e da una notevole capacità pittorica,” raccontano i figli Valeria e Marcello, affiancati dalla nipote Matilde. Che ci accolgono tutti insieme nello studio in cui per una vita Pino Boschetti ha dipinto. Un luogo affacciato sui tetti del suo amato paese natio, all’ultimo piano del bel palazzo di famiglia carico di memoria. Collocato in pieno centro storico in quel punto nevralgico in cui suoni, voci e timbri dialettali rotondi giungono e avvolgono chiunque come nelle sue opere.
Boschetti amava la luce e i fiamminghi, ma anche Morandi e Guttuso, studiati e citati con grande rispetto. La sua inventiva andava a briglie sciolte, carica di un bagaglio intriso di identità, affetti e ricordi, che ha restituito alla tela attraverso la costruzione di tanti piccoli mondi. Di tanti quadri nel quadro che abitano ogni angolo dell’appartamento-studio come un popoloso museo permanente e da cui il pittore non ha mai voluto separarsi.
Le pareti sono costellate da episodi che calamitano lo sguardo e catapultano in una realtà immaginifica parallela. Quella di una infanzia della vita, di un Paradiso perduto, delle piccole grandi cose di paese, delle sue tradizioni. E di quell’agorà in cui ogni cosa avveniva alla luce del sole e della luna, al canto dei grilli o di una fisarmonica. Tutto eternato dal pennello sapiente e dalla capacità di ritrarre atteggiamenti, sentimenti, vizi e riti di Romagna. Così come perpetrare l’amore per la sua amata Dolores i cui caratteri riemergono in tante delle sensuali donne da lui rappresentate.
“Nostro padre dipingeva a olio ma adorava principalmente disegnare. I bozzetti a matita erano la parte più creativa e autentica della sua arte. Una curiosità: amava dipingere partendo dall’angolo in alto a sinistra e piano piano dipingeva la tela fino ad arrivare all’angolo in basso a destra.
Inoltre, aveva una cura minuziosa del dettaglio. È possibile ammirare un quadro tante volte e ci si stupisce nel trovare sempre nuovi dettagli sfuggiti in precedenza…”
La volontà di Valeria e Marcello è quella di “conservare e valorizzare la sua opera. Dopo questa mostra pensiamo di organizzare altre esposizioni in vari luoghi per far conoscere le sue opere a un pubblico sempre più ampio.”