Non uno, ma due secoli: uno spaccato a cavallo tra due regioni, tra gastronomia e storia. Al ristorante Acquacheta la storia è di casa come anche il buon cibo. Una storia che inizia con Vicienzo, fondatore dell’osteria e portalettere. Infatti all’epoca la posta si muoveva ancora a cavallo ed erano quindi necessarie stazioni dove mangiare, bere e riposare prima di riprendere il cammino.
“Dopo di lui c’è stato Pietro, poi Vincenzo Valtancoli, il bisnonno Emilio, i nonni Renato e Wilma Pieri. Poi mia madre, Maria Valtancoli, e mio padre Carmine Russo,” snocciola Niccolò Russo, che dal 2018 è a capo della storica impresa di famiglia.
Il primo a non avere il cognome dei fondatori, nonostante sia loro nipote: è questa la ragione per cui oggi ha il nome ristorante Acquacheta Valtancoli. Un modo per conservare la memoria storica di una famiglia che ha legato indissolubilmente la sua vita a quella dell’ospitalità e della cucina.
Una responsabilità non da poco quella di Niccolò, classe 1993, ma raccolta senza timore: “sono cresciuto all’interno del ristorante,” spiega con semplicità.
“Quando i miei hanno avuto bisogno, non ho avuto problemi a decidere cosa fare. Ho imparato il mestiere guardando i miei nonni e i miei genitori. Ho iniziato a fare i caffè che ero ancora un ragazzino. Sono diplomato all’ITI, un buon affare: per qualunque problema tecnico, ci sono io! Anche questo aiuta ad ammortizzare i costi.”
Dai tempi della prima osteria, nonostante il luogo sia lo stesso, sono cambiate molte cose. Il primo cambiamento si è avuto negli anni Cinquanta, quando al piano terra del ristorante è stato aggiunto un primo piano con cinque camere, poi diventate undici.
“All’epoca esisteva ancora il concetto di villeggiatura: le famiglie salivano a cercare il fresco. Tanti nonni si stabilivano qui con i nipoti, li portavano a spasso nella natura, fra camminate, aria fresca e buon cibo. Si fermavano anche 20 giorni. Poi piano piano anche l’offerta è cambiata.
Negli anni Novanta, i ragazzi che tornavano dal mare e dalle discoteche a notte fonda si fermavano da noi per una pizza, che all’epoca non era ancora considerato un pasto vero e proprio ma più uno spuntino. Una notte addirittura non si fece chiusura: il nonno Renato, che si alzava la mattina presto per le colazioni, trovò tutti ancora al lavoro!” ricorda Niccolò.
“E alla fine abbiamo introdotto nel menù anche la pizza. Con il 2000 le cose sono un po’ cambiate. Vuoi la crisi, i condizionatori, le persone non vengono più come un tempo, è vero. Ma lavoriamo comunque tanto.”
Sì, perché c’è un’altra ragione del successo di questo ristorante dalla lunga storia: è l’interesse naturalistico di questa zona, che comprende non solo il percorso di 12 km per arrivare alle famose cascate dell’Acquacheta citate anche da Dante, ma anche la vicinanza del centro visite del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
“Oggi le persone si fermano pochi giorni, un weekend, mentre il ristornate è sempre richiestissimo.” Tanto che in certi periodi è anche difficile prenotare. All’Acquacheta si trovano piatti di tradizione romagnola ma anche fiorentina, trovandosi proprio al confine.
Pasta rigorosamente fatta in casa, funghi di ogni tipo – Niccolò ha anche il tesserino per andare a tartufi – fiorentina e carne alla griglia. Un Bengodi dove le porzioni abbondanti non sono un problema: la doggy bag è un’abitudine, e in cucina non torna niente.
Oggi Niccolò vive a San Benedetto in Alpe con la sua compagna e la loro bambina.