La lotta ai tumori per Roberta Zappasodi, classe 1981, è alla base del lavoro di ogni giorno. La ricercatrice cesenate, dopo gli studi al liceo Righi di Cesena, la Laurea in Biotecnologie Mediche all’Università di Bologna e il dottorato di ricerca in Immunoterapia dei tumori presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, è volata oltreoceano negli USA per poter lavorare nei migliori centri di ricerca del mondo.
Da oltre 10 anni, Roberta Zappasodi vive a New York, dove ha lavorato prima presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center per poi passare a guidare un gruppo di ricerca internazionale presso la Cornell University come Assistant Professor of Hematology in Medicine nel Weill Cornell Medical College, dove si occupa di ricerche contro il cancro.
Per i suoi studi al Memorial Sloan Kettering Cancer Center ha ricevuto numerosi riconoscimenti, fra cui l’ambito ISSNAF Award nel 2018, assegnato dalla fondazione degli scienziati italiani in USA e Canada, che l’ha collocata tra i cinque migliori scienziati italiani in Nord America. Nel 2019, Roberta Zappasodi ha poi ricevuto il Premio Malatesta Novello – Città di Cesena.
Tra i suoi sogni vi è il desiderio di far crescere un gruppo di ricerca affiatato ed efficiente con cui continuare a condividere la passione della scoperta, dando però un po’ più spazio alla vita privata e alla famiglia. Roberta Zappasodi, sposata con Enrico conosciuto ai tempi del liceo e anch’egli ricercatore, è mamma di una bimba di poco più di un anno.
D. È nota per aver offerto un contributo essenziale allo studio di terapie antitumorali. Può illustrare alcune delle sue scoperte?
R. “Il gruppo di ricerca che dirigo studia come utilizzare il sistema immunitario per sconfiggere il cancro. Nell’ultimo decennio sono stati fatti molti progressi sull’immunoterapia dei tumori, che hanno portato a ottenere nuovi farmaci di estremo successo, con risultati clinici estremamente significativi, tanto che negli ultimi dodici anni sono entrati a far parte del trattamento standard di svariati tipi di tumore.
Tuttavia, questa terapia non è efficace in tutti i pazienti. In questo contesto, il mio programma di ricerca conduce studi riguardanti i meccanismi di resistenza all’immunoterapia, per cercare di comprendere come mai alcuni pazienti rispondono e altri invece non sembrano trarre beneficio da questo tipo di trattamento.
L’obiettivo è da un lato scoprire nuovi target da colpire che diano risultati migliori in termini di remissione del tumore, e dall’altro di individuare nuovi marcatori che consentano di predire le risposte cliniche e su quali pazienti sia necessario somministrare nuovi farmaci o combinazioni di farmaci.”
D. In cosa consiste di preciso il suo lavoro di ricerca?
R. “Il mio lavoro ha contribuito a definire aspetti chiave del ruolo dei linfociti T immunosoppressori nella risposta all’immunoterapia. Per esempio, abbiamo individuato una nuova popolazione di cellule T immunosoppressorie in modelli animali di tumori di topo e in pazienti oncologici.
Mantenere bassi livelli di queste cellule durante il trattamento con checkpoint inibitori potrebbe aiutare a ottenere una risposta anti-tumore più efficace. Più recentemente ci siamo interessati a come le caratteristiche metaboliche del tumore possano interferire con la risposta all’immunoterapia: abbiamo dimostrato che i tumori con elevata capacità di consumare glucosio sono particolarmente refrattari alla cura immunoterapica. Questo indicherebbe che classificare i tumori sulla base del loro stato metabolico potrebbe aiutare a individuare quelli che hanno più probabilità di rispondere alle terapie.”
D. Che ruolo ricopre?
R. “Assistant Professor. Il mio contratto di lavoro prevede un tempo definito (circa 6 anni) in cui dimostrare di essere in grado di attrarre sostanziali fondi di ricerca specialmente dal governo USA, con l’obiettivo di acquisire personale e tecnologie, per produrre risultati di ricerca di alto impatto.
Tutto questo è la condizione sine qua non per ricevere la ‘tenure’, cioè la promozione ad Associate Professor (Professore Associato). La ricerca accademica è un lavoro molto interessante e potenzialmente gratificante, dato il piacere della scoperta, ma molto competitivo. Richiede al tempo stesso tolleranza al rischio di impresa e al rischio scientifico.”
D. Com’è vivere a New York? Le mancano l’Italia e la Romagna?
R. “Vivo e lavoro a Manhattan. New York è fantastica per l’energia e le costanti opportunità che offre, ma la frenesia e l’agenda sempre piena possono stancare e per me e mio marito, entrambi cesenati, è bello poter tornare in Europa e in Romagna per ricaricarci e riconnetterci con una realtà più a misura d’uomo.”
D. La sua presenza a New York conferma che in Italia non vi sono molte possibilità per chi fa ricerca?
R. “Le risorse economiche e l’infrastruttura tecnologica in Italia sono insufficienti, imponendo enormi sacrifici agli scienziati basati in Italia. L’Italia offre un’ottima formazione, soprattutto teorica, ma è incapace di attrarre e far crescere personale qualificato.
Guardando il nostro paese dall’esterno sembra che non ci sia interesse concreto a investire nella ricerca e utilizzare l’enorme capitale umano che il sistema universitario italiano è capace di produrre. Questo va a beneficio di altri paesi, dove migrano molti ricercatori italiani in cerca di migliori opportunità.”
D. Lei è giovane ed è una donna, vi sono state difficoltà nell’emergere sul lavoro rispetto a colleghi uomini più maturi?
R. “Ho avuto la fortuna di avere dei mentori (uomini e donne) che hanno scommesso su di me, mi hanno inserito nei loro network e fatto partecipare in prima linea a meeting importanti, con collaboratori e finanziatori.”
D. Secondo lei perché sembrano crescere le patologie tumorali tra la popolazione?
R. “Non tutte le patologie tumorali sono in crescita nella popolazione. La diagnostica e la prevenzione stanno aiutando molto in questa direzione. Inoltre, ora abbiamo vaccini preventivi come per esempio contro l’Hpv che proteggono dal tumore alla cervice, e sono un’arma di grande valore. (continua…)