Questi elementi danno vita a un luogo, lo caratterizzano, lo raccontano, ci parlano. Nell’antica regione ecclesiastica della Massa Trabaria, della quale fu anche la capitale, troviamo Sant’Angelo in Vado, con un territorio che sfiora i confini con l’Umbria e la Toscana.
L’attuale Sant’Angelo in Vado nacque dalle ceneri dell’antica Tifernum Mataurense, distrutta a seguito delle guerre tra Bizantini e Ostrogoti nel VI secolo dopo Cristo, guerre che determinarono la fine di tanti insediamenti urbani romani ma anche la nascita di nuove realtà.
Furono probabilmente i Longobardi a iniziare la costruzione del nuovo centro abitato, come si può dedurre dal nome “Sant’Angelo”, una chiara allusione a San Michele Arcangelo, un Santo molto venerato da quella popolazione.
La seconda parte del nome, “in Vado”, sarebbe da mettere in relazione al “guadare” il fiume, oppure alla presenza di una pianta, il guado, dalla quale si estrae ancora oggi il famoso blu, utilizzato fin dall’antichità per tingere stoffe e per dipingere.
Passeggiando per la cittadina è tutt’altro che raro trovare sontuosi palazzi, eleganti ville e magnifiche chiese, segno del fatto che Sant’Angelo in Vado fu nei secoli, prima sotto i Brancaleoni, ed in seguito con i da Montefeltro e i della Rovere, uno degli abitati più ricchi e fiorenti della zona, fino alla sua elevazione, nel 1636, al rango di Città e Diocesi per volere di Urbano VIII Barberini.
La nostra passeggiata vadese inizia da fuori le mura del centro storico, dal grande complesso di Santa Maria extra muros, un tempo convento dei Servi di Maria, la cui chiesa fu consacrata nel 1331. Oggi Santa Maria extra muros è sede di un meraviglioso Complesso Museale che accoglie al suo interno svariate opere d’arte.
Tra queste, alcune sono uscite dal pennello di grandi pittori vadesi, come i fratelli Taddeo e Federico Zuccari, o Francesco Mancini, che nella prima metà del Settecento fece fortuna a Roma, o Raffaellino del Colle, artista originario di Sansepolcro, che fu uno degli ultimi allievi del Divino Raffaello. Tra le varie pale d’altare della chiesa, risulta interessante quella di Sant’Eligio, opera del pittore baroccesco Girolamo Cialdieri.
Questo dipinto ci svela una peculiarità della cittadina vadese, quella della lavorazione orafa, documentata già a partire dal XVI secolo; ai piedi del Santo troviamo infatti alcuni angeli intenti ad armeggiare con diverse tipologie di argenterie liturgiche e, in basso a sinistra, un vero e proprio espositore di gioielli.
Proseguendo, attraversato il ponte sul fiume Metauro, ci si apre davanti agli occhi l’ordinato Corso Garibaldi che, fino alla Porta Albani, scandisce la passeggiata con la presenza di importanti edifici, come il Palazzo Grifoni-Nardini-Ridarelli. Questa fu l’antica dimora del condottiero Matteo Grifoni, che fu al soldo del Duca Federico da Montefeltro e di Venezia, come testimoniato dalla presenza, sulla facciata del palazzo, del Leone di San Marco.
Attraversando le piccole e strette vie del centro arriviamo al trecentesco Palazzo della Ragione, meglio conosciuto come il Campanon per via della grossa campana posta all’apice dell’alta torre, e alla Basilica Cattedrale di San Michele Arcangelo con la sua elegante e sinuosa facciata settecentesca.
Addentrandoci ancor di più nei pressi della piazza principale, Piazza Umberto I, conosciuta come piazza del Papa per via della presenza del monumento a Clemente XIV Ganganelli, troviamo uno di fronte all’altro due piccoli scrigni di bellezza: Santa Caterina “delle bastarde” e San Filippo, due edifici religiosi che affascinano per la presenza, al loro interno, di un tripudio di stucchi e decorazioni da togliere il fiato.
Per scoprire meglio le antiche origini di Sant’Angelo in Vado, però, dobbiamo allontanarci dal centro e raggiungere l’area del Campo della Pieve, dove troviamo una straordinaria testimonianza romana, la cosiddetta Domus del Mito.
Una villa costruita nel I secolo dopo Cristo, un’abitazione di quasi 1.000 mq che conserva il più importante corpus di pavimenti a mosaico della Regione Marche. Mosaici che, attraverso le eleganti raffigurazioni mitologiche, fitomorfe e geometriche, hanno in parte ancora oggi il compito di raccontare la vita di quest’antica casa e la ricchezza della famiglia che l’abitava.
Ma la visita non è completa senza l’aspetto gastronomico: quando pensiamo a Sant’Angelo in Vado, l’associazione con il tartufo è pressoché immediata. Tuttavia, oltre a questo prezioso frutto della terra utilizzato come ingrediente in innumerevoli ricette, la tradizione culinaria vadese può annoverare un delizioso dolce, il Lattarolo (el latajòl).
Di che si tratta? È un dolce simile a un budino, a base di latte, uova, zucchero, con l’aggiunta di qualche chicco di caffè e di scorza di limone. Il primo passaggio per creare questa prelibatezza è quello di caramellare lo zucchero in una teglia, facendo aderire il caramello sia sul fondo che sui lati.
In seguito occorre far bollire un litro di latte con la scorza di limone e i chicchi di caffè e, a parte, sbattere otto uova e 150 gr. di zucchero, unendo poi i due composti fuori dal fuoco. Si prosegue con una cottura molto lenta, girando il tutto con un cucchiaio di legno seguendo sempre lo stesso senso.