Da quel momento, nella mente di Rachele fiorisce l’idea di fondere questi aspetti in un unico progetto, e insieme alla fotografa Gloria Capirossi inizia a immaginare Unvague. Uno spazio nuovo, al crocevia tra passato e futuro. E-commerce, magazine, progetto di consulenza e comunicazione.
A Rachele, direttrice creativa e buyer, e Gloria, art director e fotografa, si unisce Federica Turroni, autrice e copywriter che cura contenuti editoriali e web. Quando Unvague vince il bando europeo per l’imprenditoria femminile, il sito viene pubblicato in italiano e in inglese, registrando immediatamente vendite importanti, con un 20% di richieste dagli USA.
Ma che cos’è di preciso Unvague? Un e-market di abiti e accessori vintage e second-hand. Uno spazio dove il vintage viene raccontato con l’attenzione e la ricerca generalmente riservate al nuovo. Attraverso una scelta estetica che crea un dialogo tra moda e fotografia.
L’archivio Unvague è composto da capi unici e accessori one-of-a-kind integrati in una visione contemporanea da abbinamenti tra il classico e l’inaspettato. Lo scopo è diffondere una visione del bello e del vestire che si rifà ai codici qualitativi del passato, con un occhio di riguardo ai designer che hanno anteposto l’arte allo status. Per fare cultura intorno a un mondo di saperi e conoscenze che merita di essere raccontato. “Ci piace l’idea di far riscoprire la moda dei nostri anni a un pubblico ampio, che abbraccia tutte le generazioni.”
Si parla di passato, eppure il linguaggio verbale e visivo è più contemporaneo che mai. Molti capi sono reinterpretati da donne e uomini, c’è la possibilità di prenotare appuntamenti live in diretta dallo studio, e gli abiti sono indossati da modelli della strada. “I soggetti dei nostri scatti sono persone comuni che incontriamo nei mercati, alle mostre o agli eventi. Ciò che questi volti e questi corpi esprimono è una bellezza multiforme e non omologata, che ci permette di ampliare la lente di ciò che troviamo interessante per raccontare storie vere e autentiche.”
Una vetrina digitale che ha la sua casa nella zona artigianale di Carpena, in un edificio in precedenza dedicato all’allevamento e ristrutturato in totale autonomia, utilizzando materiali di riciclo e privilegiando la cultura del riuso. “Utilizziamo lo studio come archivio per gli abiti, set fotografico, punto spedizioni e ufficio. È un luogo in perenne movimento e trasformazione, proprio come noi.”
Il progetto arriva in un momento in cui vintage e second-hand sono più in voga che mai. “Da anni la cultura del vintage è fortissima in Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Giappone. In Italia meno, forse perché la gente è più diffidente, e quando dici ‘vintage’ pensa al mercatino delle pulci. In realtà noi abbiamo pezzi da collezione di brand iconici e una buona fetta del nostro pubblico potrebbe tranquillamente permettersi il nuovo dei grandi marchi. Eppure preferisce acquistare capi letteralmente unici, che esprimono stili e significati senza tempo.”
In un settore che rappresenta la seconda industria più inquinante al mondo poi, il tema del recupero diventa fondamentale. “Negli ultimi anni abbiamo perso completamente il senso di ciò che compriamo. La moda è diventata usa e getta, inquinata dall’ossessione per l’acquisto di impulso. È ora di prendere una posizione, privilegiando brand che scelgono una produzione sostenibile e acquistando vintage di qualità. Perché niente è più green del ridare vita a un capo, mettendolo al centro di una nuova narrazione.”
Unvague si trova online e sui social media: un modo nuovo per scoprire il vintage e allo stesso tempo contribuire alla salvaguardia del pianeta attraverso sostenibilità e cultura. E meno male che si parlava di moda.