Questo è l’Urbex, acronimo che viene dall’inglese urban exploration, esplorazione urbana. L’Urbex ha una storia che inizia il 3 novembre 1793, giorno della scomparsa di Philibert Aspairt, portinaio d’ospedale ed esploratore delle catacombe di Parigi, dove si perse e il cui corpo fu ritrovato solo undici anni dopo.
L’Urbex da fenomeno (soprattutto fotografico) di nicchia, oggi sta diventando sempre più noto. E due interpreti di questo stile fotografico sono riminesi: Valentina Roncoletta e Francesco Pizzioli, coppia nell’arte e nella vita.
“La passione per la fotografia è nata da bambino,” racconta Francesco. “Mio papà David amava fotografare. Ricordo le passeggiate in montagna e lui con la macchina fotografica o la videocamera. Mi ha insegnato tutti i rudimenti dell’analogico. Usare i diaframmi, gli Asa, le inquadrature. Tutte cose che mi sono poi tornate utilissime.”
Per Valentina, invece, questo interesse è nato per caso. “Francesco mi ha insegnato le basi. Era il 2010/2011 e già stavamo insieme. È il fascino del degrado che ci ha spinto a praticare l’Urbex,” continua. “Io ero iscritta a Flickr, un social di condivisione di foto e notavo spesso belle immagini di case abbandonate negli Stati Uniti.
Mi piaceva quello stile e ho iniziato a chiedermi se ci fosse anche in Italia la possibilità di fotografare ambienti in completo disarmo. Francesco ed io abbiamo cercato su internet e ci siamo accorti che di posti ce n’erano tantissimi. Anzi, uno l’avevamo sotto casa, quello dell’antica corderia di Viserba. è stata questa la nostra prima esplorazione fotografica.”
E così Francesco la segue a ruota. “Mi piace cercare di capire la storia di un determinato posto e la vita delle persone che l’hanno abitato. Ho uno sguardo un po’ da antropologo e mentre fotografo cerco anche di sperimentare. In Italia abbiamo un enorme patrimonio edilizio privato in decadimento. Credo sia impossibile riuscire a preservarlo tutto.”
Sottolineaiamo che esplorare questo tipo di edifici comporta varcare una proprietà e che per essere certi di essere tutelati, sotto tutti gli aspetti, occorre seguire rigidi comportamenti. “Innanzitutto, chi pratica correttamente questo stile di fotografia tiene ben presenti alcune regole. Non si penetra in edifici o manufatti chiusi, anche se abbandonati.
Si entra solo se non ci sono barriere o protezioni. Poi, ci s’impegna a lasciare il posto così come lo si è trovato. Siamo consapevoli di non essere a casa nostra. Anche se non c’è più un proprietario, dobbiamo portare rispetto sia per il luogo che per i fotografi che verranno dopo. Diciamo che, purtroppo, si stanno avvicinando all’Urbex anche personaggi i quali, con la scusa dell’esplorazione, ne approfittano per sottrarre beni dai posti visitati. Questo non è Urbex, è rubare in casa d’altri.”
Grazie alla sua capacità di portare sotto i riflettori luoghi ricchi identità e di storia, in alcune occasioni questo fenomeno ha addirittura dato vita a iniziative di raccolta fondi per salvare il bene visitato. “A noi personalmente non è successo,” spiegano. “Ma di esempi in questo senso ne esistono, come Villa Siotto Pintor, nel bergamasco, che era abbandonata.
È stata fotografata da così tanti Urbex che la sua immagine ha iniziato a girare sui social e qualcuno si è interessato al suo destino. Oggi è un’oggetto di visite guidate, un’antica villa abbandonata diventata uno spazio d’esposizione di foto e di quadri. Un esempio locale è invece la discoteca Woodpecker di Milano Marittima: è stata fotografata nel suo stato d’abbandono così spesso che, pensiamo, questo l’abbia tenuta viva nella memoria delle persone.
Da poche settimane è tornata in attività. A proposito di discoteche, poche settimane fa siamo entrati al Pascià, ambiente completamente aperto tanto che ci siamo entrati mentre passeggiavamo con nostro figlio Lucio di 11 mesi, sistemato sul suo passeggino. È stato il suo primo Urbex.”