Virginio Briatore, filosofo del design

di Alessandra Albarello
consulente e scrittore tra Cuneo e New York
La poesia di Eugenio Montale L’estate termina con la frase “Occorrono troppe vite per farne una.”

Sembra scritta apposta per Virginio Briatore. Nato in Provincia di Cuneo, cresciuto a Varigotti nella Riviera di Ponente e trasferitosi a Lecce, New York, Treviso e Milano, scegliendo poi di vivere tra Ravenna e un’isola della Croazia. Consulente di importanti aziende e docente di design, ha collaborato con riviste come Modo e Interni e scritto diversi libri. Si autodefinisce ‘filosofo del design’.

D. Quando è entrato il design nella sua vita e che cosa fa un ‘filosofo del design’?

R. “La mia prima esperienza è stata come account dal 1986 al 1989 allo Studio Atlantide di Lecce, ‘battezzato’ da Alessandro Mendini. Quando poi mi sono trasferito a Treviso nel 1990 ho cominciato a collaborare con la testata Modo e ho iniziato a capire meglio il design. Come filosofo del design cerco di comprendere l’importanza che le cose hanno nella nostra esistenza perché il design è il linguaggio con cui il mondo ci parla attraverso gli oggetti.” 

D. Il viaggio fa parte del suo Dna. Gli incontri più importanti? 

R. “Norman Mommens, scultore, e Patience Gray, scrittrice, giornalista e artista, una coppia inglese conosciuta nel Salento. Mi hanno affascinato perché erano dei sapienti e allo stesso tempo umili e propositivi. Ho anche trascorso due lunghi inverni a New York dove ho spesso incrociato Keith Haring, Andy Warhol e Woody Allen. Vivere a contatto con quel mondo mi ha aiutato a capire che se non hai una forza enorme è meglio fare il cameriere a Varigotti piuttosto che a New York. Sono tornato quindi a Varigotti. Mi sono sempre allontanato ma sono sempre tornato perché alla fine proveniamo tutti da un solo luogo. Non sono un viaggiatore infinito.” 

D. Dal 1995 abita a Ravenna e per molti anni ha fatto il ‘pendolare’ con Milano. Che cosa rappresentano queste città per Virginio Briatore? 

R. “Milano mi ha dato la possibilità di crescere professionalmente perché lì nessuno ti chiede da dove vieni, ma solo ‘che cosa sai fare?’ In compenso Ravenna ha permesso a mia moglie e a me di educare i nostri figli in maniera tranquilla perché è una piccola città ed è più facile da vivere.” 

D. Un luogo di Ravenna e uno di Milano?

R. “A Ravenna l’angolo dietro Galla Placidia, con la chiesa di Santa Croce, le rovine, San Vitale, la caserma della Finanza. Amo molto le fontane e a Milano mi piace quella di Largo Marinai d’Italia perché è ariosa.” 

D. Quanto sono importanti i linguaggi per lei, Virginio Briatore?

R. “In realtà mi interessano i designer che riescono a modificare i significati e le modalità d’uso dei linguaggi come Denis Santachiara e i fratelli Campana. Personalmente il mio linguaggio è legato alla parola e lavoro scrivendo, per cui è importante per me usare la parola giusta inserendola nello spazio che ho a disposizione.” 

D. Che cos’è il design oggi? 

R. “Quando inaugurammo la scuola di design a Bolzano negli anni Novanta, parafrasando la frase di Hans Hollein ‘Tutto è architettura’, dissi: ‘Tutto è design’ e ancora oggi è così. Dal primo minuto di vita all’ultimo, il design ci accompagna. Oltre ai maestri del design ho seguito e amato Sottsass e Mendini, più per quello che hanno detto e scritto e per come hanno vissuto, che per i loro oggetti. Della generazione intermedia stimo molto Paolo Ulian e Lorenzo Damiani perché penso che il designer debba essere anche un po’ inventore, avere genialità, follia e un soffio vitale come ce l’hanno loro.” 

D. Oggetti iconici?

R. “Le icone le decide la storia ma per me sono tre: il paraschiena di Lino Dainese e Marc Sadler, su cui ho scritto un libro; Bon Ton, l’osso di plastica porta-sacchetti per cani di Miriam Mirri e Ilaria Gibertini per United Pets; Fivefingers, la scarpa con le cinque dita, disegnata per Vibram da Robert Fliri.” 

D. Ha scritto il libro Diario dall’eremo e vive anche su un’isola. Sta forse diventando un vero filosofo?

R. “Ho deciso di trascorrere più tempo a contatto con la natura. Non so se diventerò un filosofo, sicuramente voglio sentire il respiro della terra e delle pietre che sono qui da miliardi di anni. Continuo comunque a collaborare con Lago, Manerba e Lavazza con cui sto lavorando a un progetto molto bello che vedrà la luce l’anno prossimo.”

D. Virginio Briatore, che cosa le viene in mente per ogni parola del suo sito: Life, Travels, Works e Love?

R. “Life: miracolo; Travels: estensione; Works: partecipazione; Love: anelito.”

D. Progetti?

R. “Viaggiare nel Mediterraneo. Nel 2022 siamo stati nel Peloponneso, nel 2023 a Creta, quest’anno con mia moglie giriamo tutta la Sardegna. In questi territori tutto ti parla: le idee, il cibo, le architetture, i sorrisi. Lì ci sono ancora persone che ti ricevono in maniera gentile. A Creta ho chiesto: dove lascio la chiave di casa? ‘Nella porta’, mi hanno risposto. La civiltà minoica era grande e lo è anche adesso, perché si possono ancora permettere di vivere con la chiave nella porta.”

Virginio Briatore, filosofo del design
In apertura, Virginio Briatore. Qui sopra, con Patrizia Moroso, imprenditrice e art director dell’azienda di famiglia, alla Milano Design Week 2024. Sotto, Briatore alla presentazione della mostra e del libro Lavazza Design Family a Torino, nel 2008.
Virginio Briatore, filosofo del design
Pubblicato su XX IN Magazine XX/XX, chiuso per la stampa il XX/XX/XX

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